Relazione per l’Assemblea “da ora che Fare?”

1.

Non voglio fermarmi sulla sconfitta dei referendum. C’è una relazione che questa sconfitta ha con le vicende politiche di oggi e quindi su cosa fare ora. Vorrei dire invece come penso che andrebbe letta in generale questa sconfitta ma anche la battaglia in sé. La Legge 40 è in contrasto con gli elementi principali della cultura, morale e giuridica, che tiene in piedi le nostre società. Cioè la battaglia che è stata fatta in difesa dei referendum, e quella che va fatta ora, è una battaglia che ha alle spalle non valori o principi marginali o esotici o strani, ma le correnti più profonde della cultura moderna che hanno generato i principi che garantiscono la convivenza civile nelle nostre società.
In un certo senso, quindi, la sconfitta è ancora più inquietante, perché mette in discussione qualcosa di così grande e importante. Ma in un altro senso, deve dare coraggio a chi fa questa battaglia. Stiamo difendendo l’applicazione e la conferma, ancora una volta, dei principi fondamentali, delle conquiste che sono state fatte dal Seicento in poi e che si sono depositate nelle società in vari luoghi: nell’idea di diritti fondamentali scritti nelle carte costituzionali, nel posto che occupano nelle nostre società la scienza e la religione.

2.

Vorrei dire qualcosa di questi aspetti. Questa è una legge che ha chiamato in causa direttamente l’idea di diritti fondamentali, il ruolo della scienza, il posto del sacro. La nostra cultura morale ha un posto per tutti questi elementi. Sono elementi eterogenei, hanno storie diverse, sono il frutto di processi di civilizzazione differenti e sfalsati. Ma questa legge e il dibattito di chi ha avversato i referendum hanno voluto dare l’impressione che la nostra cultura viva lacerazioni profonde, che la scienza è contro l’idea di sacro, che la cultura dei diritti, che lascia libertà alla scelta individuale e alla ricerca scientifica, rischia di privarci di un senso profondo di umanità. Questo è stato sostenuto in modo sgradevole e irresponsabile da molti, ma ritroviamo un pensiero simile anche in autori molto più riflessivi e cauti (come Claudio Magris).
Ora io vorrei dire che questo è falso. Ci sono tensioni, conflitti e incertezze. Ma è un fatto che le nostre società sono società sufficientemente civili, e lo sono perché esse seguono ricette, soluzioni, che sono state trovate nel corso di questi secoli che hanno fatto quella che chiamiamo la modernità. Sono soluzioni che consentono a questi elementi diversi, come il sacro, la scienza e i diritti, di convivere, di dare una forma civile e ricca alle nostre società. Voglio stare vicino ai temi dei referendum e della bioetica, ma ciò che dico ha un significato che si irradia più in là.

3.

Cominciamo con il dire che non c’è dubbio che vi è una certa eterogeneità tra il senso del sacro e sia la cultura dei diritti sia la scienza. L’idea di diritti, come protezione delle aree di libertà fondamentali degli individui, è nata certamente in opposizione all’idea di sacro. I diritti difendono certe sfere della vita dove pensiamo che sia irrinunciabile che le persone siano libere di dare forma alle proprie vite: sono le sfere che conosciamo, della propria integrità fisica, il pensiero, le emozioni, l’immaginazione, la vita di relazione, sociale, lavorativa. Questa idea, che vi sia un bene centrale nella libertà di scelta in queste aree è chiaramente, sia storicamente sia teoricamente, il frutto del superamento dell’idea che le società sono tenute in piedi dall’idea del sacro. Come ha sostenuto di recente anche un filosofo vicino al cattolicesimo come Charles Taylor, è un fatto che la cultura dei diritti è fiorita laddove l’involucro della cristianità è stato spezzato e la sfera pubblica è rimasta il luogo in cui competono diverse visioni del mondo.
Ma possiamo anche vedere qualcosa di interessante. La cultura dei diritti non ha spazzato via il sacro. Lo ha reinterpretato assegnandogli un posto particolare: non a fondamento delle società ma collocandolo nella sfera privata, come fonte a cui ciascuno può accedere per dare forma alla propria vita. La concezione liberale ritiene infatti che quella sfera in cui noi attribuiamo in vari modi un significato alle nostre vite, in cui sviluppiamo i nostri convincimenti profondi circa il senso delle cose, sia una sfera della mente e della condotta centrale e irrinunciabile. E infatti la troviamo scritta in tutte le costituzioni liberali come libertà di confessione religiosa e di espressione delle proprie idee. Naturalmente, la cultura liberale dei diritti ha potuto operare questa reinterpretazione perché ha trovato già sviluppata questa concezione della religione e della sacralità. Essa è infatti il frutto dell’umanesimo e in particolare di una tappa fondamentale della modernità che è la Riforma. Quindi non è vero che c’è un conflitto insanabile. Invece c’è una soluzione assodata: una scoperta fondamentale della modernità. Spostare il senso del sacro dai fondamenti della convivenza associata ai modi, privati, in cui le persone danno forma e significato alle proprie vite: e in quanto tale, garantire il sacro e proteggerlo.

4.

Solo un accenno ai temi del referendum e alla questione dell’embrione, perché qui è stata fatta una grande confusione. È un tema troppo vasto da visitare ora. Ma vorrei dire solo alcune cose, che si collegano a questa idea della convivenza tra diritti e sacralità. Credo, infatti, che il dibattito sul tipo di importanza morale da attribuire alla vita umana nascente sia fondamentalmente una questione che è legata al senso del sacro; non è affatto una questione di diritti.
Sostenere che l’embrione è una persona è un’affermazione ardua e credo del tutto priva di senso. La Chiesa stessa nell’Istruzione Ratzinger del 1987 (Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della persona) oscilla e considera da una parte l’embrione persona e poi sostiene che va trattato come una persona, cioè come se fosse qualcosa che in realtà non è. Né è sensato porre la questione come se vi fosse comunque spazio per il dubbio che l’embrione sia una persona. Questo è un dubbio che ha senso porsi in altri contesti: quando abbiamo un corpo che è stato una persona, come può accadere alla fine della vita con un individuo in stato vegetativo persistente; oppure con un individuo nato ma privo della possibilità di avere vita mentale, come i neonati anencefalici. Questi sono casi spinosi e drammatici, che le nostre società stanno già avviandosi a risolvere, e verso i quali è certamente sensato porsi la domanda se abbiamo o meno delle persone di fronte a noi. Ma non è una domanda che possiamo veramente porci di fronte a una massa microscopica di cellule, a meno di non abusare del concetto di persona, svuotandolo interamente del suo significato.
Ma c’è un altro modo di attribuire un significato morale all’embrione dal punto di vista religioso, ed è quello di concepire questo processo biologico come parte del progetto divino con cui sarebbe empio e offensivo interferire. Questa è stata da sempre la posizione della Chiesa cattolica fino al XX secolo, quando la Chiesa ha fatto proprio un altro linguaggio, comprendendone la forza: il linguaggio delle persone e dei diritti, che veniva dall’Illuminismo e dalla cultura liberale, e che ha sfruttato a suo favore. Questo ha confuso tutto. Ma il linguaggio più proprio per parlare di questo tipo di significato morale, di empietà nell’interferire con questa sfera della natura, è quello del sacro, non quello dei diritti, che non c’entra nulla. L’idea che ci sia qualcosa di male nell’interferire con questa sfera della natura o nel manipolarla è l’antica idea del sacro. Ma, e così concludo, se è l’idea del sacro che è chiamata in causa, allora è impensabile che lo stato faccia propria una tale idea e la imponga a tutti. Questa è la soluzione già percorsa dalle nostre società ogni volta che sono sorti conflitti tra l’idea del sacro e le altre sfere. I diritti sono irrinunciabili e il sacro è protetto come personale interpretazione della vita.
In questo caso, se pensiamo l’embrione come un processo biologico diretto alla procreazione, esso fa parte della responsabilità della donna, cioè – ma questa affermazione andrebbe spiegata meglio, poiché essa tende a generare alcune critiche, ad esempio dal pensiero femminista – del diritto della donna, del diritto sul suo corpo e sulla procreazione. Ma se pensiamo all’embrione fuori dal processo procreativo entrano altri diritti, quelli legati alla salute e alla libertà della medicina. Perciò, possiamo pensare di tutelare un senso diffuso di scrupolo verso questi processi biologici, ma tale tutela deve essere resa compatibile con la libertà della scienza e della medicina che è al servizio di interessi alla salute che fanno parte dei diritti fondamentali degli individui.

5.

Tutto quanto ho detto comporta naturalmente una trasformazione del senso del sacro. Implica che le religioni, che sono tra le maggiori agenzie che si occupano di trasmettere e coltivare un senso del sacro, offrano del loro ruolo un’interpretazione autonoma e non eteronoma (nel senso che Kant dava a questi termini). Si presentino cioè come fonti di ispirazione e di riflessione per trattare problemi che vanno risolti a livello personale, dentro la propria coscienza. Ora, se guardiamo al cattolicesimo, come sappiamo esso si è presentato in larga parte, almeno nella sua forma più visibile, in modo eteronomo – per molti secoli come stato sovrano e ora come agenzia che ha i suoi luoghi di rappresentanza nei diversi organismi nazionali e internazionali –: cioè come un insieme di comandi che emanano da un’autorità. Ma fa parte della tradizione cattolica anche un’idea autonoma della religione, un’idea che ha trovato certamente espressione nella stagione del Concilio Vaticano II. Un’idea che sembra silenziosa e quasi invisibile ora in Italia ma che trova invece larga espressione fuori dal nostro paese, ad esempio nel cattolicesimo della base e di molti intellettuali negli Stati Uniti.
Ho letto in questi giorni diversi editoriali in cui si consigliava di fare i conti con questo cattolicesimo eteronomo e di dimenticare la stagione dei cattolici democratici. Se fare i conti significa tenere conto realisticamente della situazione va bene. Ma vorrei dire due cose. 1) Una concezione eteronoma della religione, la religione come autorità che comanda, che si mette sullo stesso piano delle leggi dello stato, non è la concezione del sacro e della religione che trova spazio e protezione nelle nostre società. È una concezione che è stata combattuta e in larga parte vinta. Qui non ci possono essere fraintendimenti. Non possiamo accettare questa concezione della religione e del sacro. 2) Quindi non c’è alternativa a quella di auspicare e di lavorare affinché fiorisca anche nel nostro paese un dibattito su ciò che ciascuno intende con l’affermazione «sono cattolico», sul significato che ha elaborato dentro di sé della tradizione religiosa cattolica o di qualsiasi altra confessione. Cioè, non c’è spazio in società civili e mature per l’idea che la coscienza individuale sia annullata e lo scrutinio interiore sia sostituito dal semplice seguire un comando esterno.

6.

Vediamo ora l’altro conflitto che è stato sbandierato come lacerante per il paese, quello tra la scienza e il senso del sacro. Anche qui bisogna cominciare con il dire che non vi è dubbio che la scienza moderna si è sviluppata scalzando il senso del sacro, liberando la natura da simboli e intenzioni e scorgendovi solo processo causali. Come sappiamo, questa vicenda ha avuto vari gradi, da Galileo a Darwin, ad esempio. Ma, di nuovo, nelle nostre società scienza e sacro hanno trovato spazi in cui convivono. L’idea che si affronti ora per la prima volta il senso di sconcerto di fronte alla scienza che svela i segreti della vita e con ciò offende e dissacra la vita stessa non è sostenibile. Questo conflitto è già stato affrontato e di nuovo in larga parte risolto.
Le nostre società tengono alla scienza. La scienza ha un’importanza capitale dal punto di vista morale. Non è solo che il miglioramento del genere umano dipende dai progressi scientifici e tecnologici. La scienza è anche una fonte insostituibile, anche se non l’unica, della distinzione tra vero e falso, tra verità e impostura. Non vorremmo vivere in società in cui scompaia questa fonte di accesso alla verità. Non c’è scientismo in questo: c’è un autentico valore morale nella possibilità di difendere la verità, di svelare l’inganno e l’impostura, di distinguere tra il medico e il guaritore, tra lo scienziato e il mago.
Al contempo le nostre società tengono ai modi, personali e privati, in cui la vita è avvolta da alcuni da un senso di sacralità e di mistero. Anche quando questo senso di sacralità è acquisito dalla società nel suo complesso, esso continua a convivere pacificamente con il punto di vista scientifico. Voglio fare un esempio che trovo interessante e che è quello dei cadaveri. Come sappiamo la Chiesa trovava dissacrante l’idea che si aprisse un cadavere per scoprire i misteri dell’anatomia. Ma quello che è successo dopo è davvero istruttivo. La scienza è andata avanti ma non per questo abbiamo perso un qualche senso di rispetto per le salme, la percezione che un cadavere non è solo spazzatura ma è qualcosa di speciale, il corpo di una persona morta. Tanto che le nostre società si prendono cura della sepoltura e non ammetteremmo mai che le salme fossero lasciate ai cigli della strada per essere raccolte dai camion della spazzatura. Ma questo senso di rispetto, che è chiaramente legato a quel senso di sacralità della salma che voleva difendere la Chiesa, convive perfettamente con l’idea che sia talvolta necessario affidare ai medici il compito di aprire i cadaveri. La percezione della salma come qualcosa che va a suo modo onorata convive con l’idea che la scienza operi su alcuni cadaveri e sveli i misteri del corpo umano.
Mi domando se gradualmente non arriveremo tutti a una conclusione simile anche per la vita nascente nei suoi primi stadi: conservare un senso di scrupolo, di attenzione morale, che conviva però con le esigenze della conoscenza scientifica. Se la vita nascente è vista come essa è, come un processo biologico, potremmo conservare un senso di scrupolo per il carattere speciale che riveste per noi questa sfera della natura, che potrebbe però convivere pacificamente con il fatto che consentiamo alla scienza di operare su di essa per interessi importanti, legati alla protezione delle nostre vite, alla salute, alla lotta contro la malattia e la sofferenza.
Ma teniamo anche presente che il senso del sacro è, come tutto in questo mondo, in trasformazione e si nutre esso stesso della vicinanza con le altre sfere, ad esempio con la scienza. Non sempre riusciamo a conservare quel senso speciale di sacralità con cui avvolgiamo alcune parti della natura. Un esempio interessante è il vaccino del vaiolo. Alla fine del ’700, prima di Jenner, dopo decenni di sperimentazioni un po’ a tentoni, Kant poteva ancora porsi il problema se non fosse contro natura, cioè dissacrante, inoculare il vaccino del vaiolo. Ma poi il progresso della medicina ha sottratto del tutto questa area della vita dal sacro. Oggi non abbiamo più le risorse concettuali per investire quella sfera della natura con l’idea di sacralità, cioè leggiamo i dubbi di Kant come frutto della superstizione. Anche questo è importante. Credo che vogliamo che scienza e sacro convivano anche per questo motivo. Perché non vogliamo che la religione ceda verso la credulità, il miracoloso, la superstizione, e quindi l’impostura e la manipolazione delle persone. Ma per difendere un significato non superstizioso della religione abbiamo bisogno anche della scienza e della medicina e della loro libertà di ricerca.
Quindi non c’è veramente un conflitto tra scienza e sacro. Noi, come società civili, teniamo alla scienza ma teniamo anche al fatto che le persone possano coltivare una propria idea della sacralità. Facciamo prevalere la scienza nella sfera pubblica e chiediamo all’idea privata di sacro di modificarsi, di convivere con la conoscenza scientifica. In molti campi le nostre società sono fatte di questo tipo di convivenza. La ricerca sugli embrioni, lo voglio dire ancora una volta, mi sembra un altro di questi esempi.

7.

Non vorrei avere dato un’immagine troppo conciliante della cultura diffusa nelle nostre società. Qualche filosofo più corrosivo di me se ne avrebbe a male. Qualcuno vorrebbe dire, infatti, che la modernità, in alcuni suoi momenti centrali, ha tolto ogni legittimità al sacro. Questa è la via di Hume. Nel nostro paese è la via seguita in modo colto e brillante da Carlo Augusto Viano. La critica opposta è di chi dice che il conflitto c’è, perché la scienza e la tecnica hanno veramente il potere di mettere in discussione questo fondamento sacrale dell’umanesimo (è la tesi di Magris). Ma credo però che molti dei conflitti e dei timori angoscianti paventati non siano reali. Le nostre società hanno già scoperto da lungo tempo come affrontare queste questioni.
Il fatto che le nostre società abbiamo già trovato soluzioni non significa tuttavia che queste non possano essere dimenticate. Una società vive infatti del fatto che le persone tengono a varie cose, se ne preoccupano: tengono alle proprie istituzioni, alle proprie leggi, tengono alla verità e al rispetto reciproco. Ma quello che voglio dire è che i valori che erano dietro la battaglia referendaria contro la Legge 40 sono i valori che hanno fatto la modernità, i valori che sono alla base delle costituzioni liberali, i valori che sono riusciti a trovare soluzioni per fare convivere le persone pacificamente e civilmente. È della dimenticanza di questi valori che stiamo parlando.

Piergiorgio Donatelli, docente di bioetica alla Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma