Welby – Englaro, due casi etico – giuridicidi diversi

di Lorenzo D’Avack
tribunaleA distanza di poco meno di un anno e vezzo i Tribunali di’.merito e la Corte di Cassazione si sono dovuti interessare del rifiuto delle cure da parte del paziente in due vicende di fine vita. Piergiorgio Welby, pienamente in grado di intendere e di volere e correttamente informato, ha rivendicato il suo autentico e contestuale diritto a rifiutare un trattamento medico invasivo al quale era sottoposto (ventilazione artificiale). Eluana Englaro è da oltre sedici anni in coma vegetativo permanente e il padre chiede ormai da tempo, attraverso un lungo iter giudiziario, l’interruzione delle pratiche di alimentazione e di idratazione artificiale. Alcuni aspetti delle due vicende sono comuni, considerato che per entrambe sono in gioco la dignità della persona cori i suoi diritti fondamentali (diritto alla libertà. all’uguaglianza, alla salute, ecc.), il valore della vita e della sua integrità, le scelte giuridiche fatte proprie dalle politiche pubbliche. Ancora, vi è un principio di fondo che le accomuna, ed è il consenso infornato e consapevole del malato all’atto medico, in virtù del quale la persona non può essere sottoposta a coercizione nel corpo e nella mente.
Un principio di libera determinazione della persona che ha come necessaria implicazione il riconoscimento della facoltà di rifiutare o di cessare le cure mediche, lasciando che la malattia faccia il suo corso anche fino alle estreme conseguenze. Ma profonde differenze insorgono quando nell’esercizio di questo diritto vi sia un consenso espresso, contestuale, consapevole del paziente capace di intendere e di volere (Welby) o, di contro, un consenso anticipato o presunto del paziente non più competente (Englaro). È a questo punto che le due vicende si differenziano profondamente, perché nella seconda la ricerca della volontà del malato diventa assai più problematica rispetto alla prima. La Englaro non è in grado di manifestare il proprio dissenso a causa del suo stato di totale incapacità e, allorché era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, non ha specificatamente indicato attraverso il cosiddetto testamento biologico quali terapie avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe inteso rifiutare.
Le nostre Corti di giustizia hanno ritenuto possibile ricostruire la presunta volontà della Englaro attraverso testimonianze e attraverso la sua personalità, il suo stile dì vita, i suoi valori di riferimento e le sue convinzioni etiche; religiose, culturali e filosofiche. Non è allora difficile rendersi conto che nel caso Welbby non vi erano incertezze in merito alla sua volontà di rifiutare quel gravoso trattamento medico a cui era sottoposto. Di contro, la possibilità per il tutore, prevista dai giudici, di dimostrare che la voce di Eluana sia reale sulla base di elementi probatori chiari, univoci e convincenti, si traduce in una ricerca teorica. Ciò spiega perché la scelta giurisprudenziale abbia determinato non poche polemiche. La critica prevalente è verso l’idea che possa valere, per determinare l’interruzione di un trattamento, tanto più di fine vita in archi temporali ampi, la volontà pregressa del paziente, ora incapace, ricostruita attraverso qualsiasi percorso e quindi anche quello della prova testimoniale, dove il potere discrezionale del giudice nel considerarla sufficiente o insufficiente si allarga a dismisura. In questi casi, e le legislazioni sul tema dentro e fuori il Continente prevalentemente lo dimostrano, il consenso o il dissenso informato alle cure mediche del paziente non più in grado di intendere e di volere noni può che essere ricollegato al testamento biologico. Strumento che rafforza l’autonomia individuale, coinvolgendo i doveri professionali del medico e la legittimazione all’atto medico.