Una protesta nel silenzio

di Elisabetta Rasy
Legge 194, l’ appello dei medici
È molto preoccupante che un terreno sanitario delicato e sensibile com’ è quello dell’ interruzione volontaria di gravidanza diventi il campo di battaglia di uno scontro di obiezioni di coscienza

Ma si capisce facilmente che gli operatori della sanità laziale praticanti l’ aborto nelle strutture della Regione che si sono decisi a proclamare una obiezione di coscienza collettiva non sono spinti a tale gesto provocatorio dal desiderio di acuire uno scontro ideologico sulla legge 194. Si tratta di medici che tale legge hanno scelto di applicare – a Roma un esiguo ventitré per cento contro il settantasette degli obiettori che hanno deciso di non applicarla – e che sempre più nel corso degli ultimi anni si sono dovuti confrontare con dure difficoltà: la scarsa recettività ospedaliera, i pochi posti letto, la mancanza di sale operatorie. Una penuria di mezzi che ha il pessimo risultato di allungare le liste d’ attesa.

Inutile nasconderselo: quella delle donne che hanno deciso di non portare a termine la gravidanza non è una lista d’ attesa come un’ altra. E, fermo restando che in fatto di salute tutte le liste d’ attesa sono più che deprecabili, in questo caso i tempi non devono, non possono allungarsi. I medici che applicano la 194 non solo hanno la pesante responsabilità professionale che grava su ogni esponente della categoria: sono medici che non affrontano una malattia, affrontano un dramma.

Il loro spirito di servizio deve essere particolarmente forte e, in quanto tale, dovrebbe essere sostenuto da mezzi adeguati. Quello che accade è esattamente il contrario. Il risultato non ha niente a che fare con le discussioni di cui a cicli alterni è fatta oggetto la legge. Il risultato è che una situazione di grave disagio – quello delle donne che decidono di interrompere la gravidanza – e di pesante lavoro – quello dei pochi medici a Roma che attuano la legge – è resa sempre più difficile, e gli uni e le altre sono abbandonati a una punitiva marginalità e a un’ assistenza insufficiente.

A Roma, come nella regione Lazio, i consultori sono pochi, la salute femminile, soprattutto nelle frange più esposte e deboli della popolazione, è tutt’ altro che tutelata come dovrebbe essere: la denuncia dello stato di difficoltà dei medici che praticano l’ aborto oscura ulteriormente il quadro. La legge 194 esiste, a quanto risulta (è stata confermata, come tutti sanno, da un referendum popolare) non è figlia di un dio minore, coloro che la attuano hanno diritto a tutta la nostra attenzione e a tutto l’ aiuto possibile delle istituzioni.
Rasy Elisabetta