Un Nobel alla speranza tunisina

Le Monde – Internazionale

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Assegnando il Nobel per la pace al “quartetto” che ha guidato il dialogo nazionale in Tunisia, il 9 ottobre il comitato norvegese ha voluto celebrare e sostenere il fragile ma importante processo di transizione verso la democrazia intrapreso da questo paese. La decisione arriva al momento giusto.

La Tunisia ha inaugurato le rivoluzioni arabe nel 2011, ed è l`unico paese dove la speranza di cambiamento abbia prodotto nuove istituzioni, una costituzione più liberale (la prima a sancire la libertà di coscienza e la parità dei sessi nel mondo arabo) ed elezioni che hanno garantito una transizione di potere non violenta. Altrove è scoppiata la guerra civile (Siria, Libia e Yemen) o i regimi autoritari sono diventati ancora più duri (Egitto e Bahrein).

Questo segnale di solidarietà è ancor più opportuno se si considera che negli ultimi mesi la Tunisia è stata colpita da un`ondata di attentati jihadisti che puntavano a mettere in ginocchio l`economia e a rompere l`unità nazionale. L`omaggio del comitato di Oslo esclude tuttavia i protagonisti della transizione tunisina: i partiti, che nonostante le rivalità e gli interessi di parte hanno saputo trovare un compromesso.

Forse i giurati non hanno ritenuto opportuno premiare l`islamista Rachid Ghannushi, leader del partito Ennahda. Ma bisogna riconoscere che Ghannushi ha saputo convincere la propria formazione a lasciare il potere quando l`intero processo di transizione rischiava di crollare nel 2013, a votare una costituzione molto lontana dalla sua visione del rapporto tra stato e religione nel 2014 e a sostenere il governo formato nel 2015. Poco importa.

Premiando i principali attori della società civile, ovvero il sindacato Ugtt, l`unione degli industriali Utica, l`ordine degli avvocati e la Lega tunisina dei diritti umani, la giuria del Nobel manda un messaggio alla politica tunisina: senza una società aperta e vivace, libera di discutere pubblicamente, i politici sono condannati a sbranarsi tra loro o a imporre modelli di società e di governo che prima o poi saranno rifiutati dai cittadini.