Un milione di malati in fila greci curati dalle Ong internazionali

La Repubblica
Livini Ettore

Helena Dimitriadis e il suo belpancione («di sette mesi, due gemelli!») oggi ce l’hanno fatta. «I novecento euro da pagare per esami e parto non ce li ho», si scusa lei. Così stamattina si è alzata alle 6.30, ha preso il tram dal Pireo e adesso è in pole position («devo fare la flussometria dopplen») tra i fantasmi della sanità greca in coda sotto il tiepido sole ateniese davanti alla porta dell’ospedale di Doctors of the World, ad Atene. Il serpentone umano dietro di lei è colorato e lungo.

Duecento persone in paziente attesa di una visita o di una vaccinazione gratuita nella clinica della Ong, l’avamposto di quegli 1,2 milioni di “dannati” che — per il solo peccato di essere disoccupati da più di un anno in Grecia (e in Europa) — hanno perso il più elementare dei diritti: quello alla salute. Un esercito invisibile senza mutua, cure e medicinali se non a pagamento. «Vede la gente là sotto? — dice amaro dal suo studio Nikitas Kasaris, responsabile di Doctors of the World—.

E’ una catastrofe umanitaria. Ogni giorno la coda è più lunga. Siamo sull’orlo del crac sociale». LaTroika ha acceso i fari sulla tragedia del bilancio ellenico. Ma lontano dai riflettori della crisi finanziaria «si sta consumando una tragedia silenziosa» dove i danni non si contano in euro ma in vite umane. Soldi, nel paese, non ce ne sono più. «Ed essere poveri e malati nella Grecia di oggi è un’Odissea», assicura quello che qui tutti chiamano l’angelo di Atene.

L’austerity ha costretto il governo a ridurre da 15 a 11,5 miliardi in tre anni i fondi per la sanità. Obiettivo ufficiale: ridurre gli sprechi in un sistema dove per farsi operare bisognava pagare una “falekaki” (alias mazzetta) tra 150 e 7.500 euro (dati Transparency International) e dove le forniture ospedaliere costavano quasi il doppio del resto dell’Europa. I risultati sono stati però differenti. «Abbiamo innescato una bomba ad orologeria pronta a scoppiare», dice Katerina Kanziki, 25enne infermiera volontaria alla clinica di Psiri.

«Le nostre farmacie hanno finito le scorte di 100 medicinali di prima necessità tra cui insulina e ipertensivi» ha annunciato venerdì l’associazione panellenica di settore. «Abbiamo esaurito gli anti-retrovirali per i malati di Aids e non ci sono soldi per ordinarli», hanno scritto al ministero della salute i medici dello Tzaneio al Pireo. «Noi siamo senza siringhe, guanti chirurgici e cotone per operare la gente», snocciola Thomas Zelenitas, rappresentante dei dipendenti dell’ospedale Geniko Kratico. Appelli destinati a cadere nel vuoto: lo Stato versa in ritardo di mesi gli stipendiai medici e molte multinazionali (la Merck l’ha fatto persino con un anti-cancro) hanno sospeso o rallentato le forniture di farmaci perché la Grecia, in arretrato di 2 miliardi, non onora i suoi debiti sanitari.

Il risultato è scontato: festeggiano virus e parassiti (nell’Est dell’Attica è ricomparsa dopo decenni una forma endemica di malaria) e pagano i più deboli. «Tre anni fa da noi venivano solo immigrati—calcola Kasiris. Oggi il 50% dei pazienti di Doctors of the World è greco». Christos Kasirs, appoggiato al suo bastone di ciliegio di fronte alla farmacia di piazza Dragatsaniou ad Atene, è una delle vittime collaterali di questo disastro. «Guardi qua — borbotta aggrottando le sopracciglia bianche— 75 euro per 12 pastiglie». Lui degli antiartritici non può fare a meno («senza, non riesco nemmeno ad alzarmi dalla poltrona…». Il problema è che la ricetta della mutua che ha in tasca è carta straccia. Il governo non rimborsa le farmacie. E loro, per rappresaglia, fanno pagare il prezzo pieno ai clienti. «Non ho scelta! — dice Maria Hatzidimitriou, farmacista con i capelli rossi e gli occhi color ghiaccio che ha fatto strapagare gli antiartritici a Christos—. Cosa crede? Spiace anche a me. E a chi ha bisogno davvero facciamo credito. Lo Stato mi deve 40mila euro. Se va avanti così, chiudo». Come è successo a cento suoi colleghi che negli ultimi mesi si sono visti sequestrare il negozio dalle banche. «E’ vero, le cose vanno male. Ma stiamo provando a rimettere in piedi un sistema al collasso — dice dal suo ufficio vista Egeo Michael Theodorou, numero uno di Evangelismos, l’ospedale più grande del Paese—. Guardi i nostri conti: nel 2009 spendevamo 157 milioni l’anno, oggi siamo a 113 senza aver tagliato servizi e qualità». Un miracolo? No, basta andar giù di forbice dove gli sprechi sono più evidenti. «Fino a tre anni fa il corpo medico prescriveva i farmaci più costosi e incassava sottobanco le mance delle compagnie farmaceutiche», racconta in corridoio uno dei più noti fisioterapisti dell’istituto. Oggi si comprano i medicinali on line, privilegiando i generici, e i risultati si vedono: «Il costo dei farmaci è crollato in due anni da 39 a 26 milioni malgrado i pazienti siano cresciuti de120%», conferma Theodorou. Peccato non sia bastato a debellare i “furbetti della corsia”. «Che devo fare? Mi hanno ridot to lo stipendio da 1.300 a 900 euro — ammette un pediatra dell’ospedale — e ho il mutuo da pagare. Non ho scelta, curo in nero molti più pazienti di prima!». Vecchia storia.

Quando gli agenti del fisco di Atene hanno passato ai raggi X i 150 primari di Kolonald, il quartiere più elegante della capitale, hanno scoperto — senza sorprendersi più di tanto—che più della metà dichiarava meno di 30mila euro l’anno. Pagassero le tasse pure loro, forse i gemelli di Helena potrebbero davvero sperare di vivere in un Grecia migliore di questa.