Una strategia per la ricerca

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In questo fine legislatura la ricerca italiana vive qualcosa di straordinariamente nuovo. Non succedeva da decenni. All’eccezionale e meritoria scelta della ministra Fedeli e del governo Gentiloni di investire circa 400 milioni di euro nella ricerca di base (il relativo bando Prin 2017 è stato pubblicato mercoledì sul sito del Miur) sembra corrispondere un altrettanto eccezionale “avvio di rivoluzione” per adeguare le procedure di erogazione ai migliori standard internazionali. In questo senso il bando Prin reca importanti novità: come per lo European Research Council, saranno 25 i panel, rappresentanti le diverse discipline, cui sottomettere le proposte; ogni panel è composto da almeno 5 membri; c’è una preselezione dei progetti; la lingua standard è l’inglese; possono concorrere i ricercatori universitari e degli enti di ricerca vigilati dal Miur, l’entità delle risorse scongiurerà tagli ai progetti tali da renderli irrealizzabili; è prevista una linea di intervento “giovani”; possono partecipare anche i ricercatori più precari con contratto di tipo Rtd-a.

Ora servono altri passi: è imprescindibile — anche per il numero di domande attese — l’allargamento oltre i confini nazionali del database dei revisori. La comunità degli studiosi italiani è infatti troppo piccola. Come studiosi siamo anche sistematicamente chiamati da istituzioni e agenzie estere per valutare i progetti dei loro ricercatori. Dobbiamo strutturarci per fare altrettanto. Servono criteri di valutazione definiti e ben illustrati, affinché non si veda un progetto bocciato o promosso con tre righe di giudizio, come nel 2015. Servono regole chiare e “sanzioni effettive” sui conflitti d’interessi e sulla science integrity. Questi 400 milioni sono la soluzione al presente. Non per il futuro.

All’Italia della ricerca continua a mancare tutto. In tutti i Paesi, le risorse pubbliche erogate per via competitiva preparano i ricercatori nazionali a competere al meglio nei bandi europei e mondiali. Ma serve affidabilità e continuità. Serve un bando Prin di questa entità ogni anno. Serve un sistema aperto alle idee libere in tutte le discipline. Servono procedure blindate che promuovano fiducia e modalità di investimento differenziate su strutture e progetti grandi e piccoli. Per farlo, e questa sarà la cartina al tornasole dei programmi elettorali dei prossimi mesi, è necessario impegnare risorse pubbliche in modo pensato e strutturale, senza essere ridotti — come invece è stato — alla paradossale necessità di “negoziare” la restituzione di denaro pubblico da anni dissennatamente destinato all’accumulo di “tesoretti” in una singola fondazione di diritto privato (un recupero ancora parziale, di 250 su circa 500 milioni accumulati, tanti ne sono stati dati nella desertificazione del resto del Paese).

Il futuro della nostra ricerca cambierà nel momento in cui sapremo come rispondere alla semplice domanda “come si finanzia la ricerca in Italia?”. Perché oggi, quando me lo chiedono, non so cosa dire. Oggi manca una strategia organica d’investimento di medio-lungo periodo e la volontà politica di strutturarla prescindendo da interessi spiccioli e contingenti, pronti a mutare all’alternarsi dei governi. La mancanza di strategia nel nostro Paese va a braccetto con un’incapacità cronica di amministrare la ricerca: le poche risorse si disperdono per tante strade, ministeri, approcci confusi, regali e spartizioni amicali dei fondi pubblici, in legge di stabilità, a margine di una trasmissione televisiva, per accordi diretti e contiguità tra erogatori (le istituzioni) e i beneficiari (i ricercatori/gli enti).

Perché la ricerca italiana abbia un futuro, si deve passare dalla politica del “tesoretto discrezionale” a quella dell’investimento continuativo nel tempo, trasparente, aperto e competitivo” e alle procedure di assegnazione “al di sopra di ogni sospetto”.

Due le condizioni da realizzare: che si stabilisca che non un singolo euro pubblico potrà essere assegnato alla ricerca senza un bando competitivo; che vi sia l’impegno a istituire un’Agenzia pubblica per la ricerca, perché siamo pressoché gli ultimi in Europa ad esserne sprovvisti. Una “casa di cristallo, delle competenze e delle procedure”, incaricata di attuare le decisioni politiche d’investimento pubblico in ricerca attraverso meccanismi idonei a selezionare i progetti migliori. Non è facile, ma sono ottimista. Non per cecità verso i tanti fallimenti passati, quanto per aver conosciuto ricercatori, funzionari, politici e cittadini determinati nel realizzare un sistema capace di intercettare e valorizzare l’intelligenza e le energie che sono presenti e crescono nel Paese.