Spagna, i treni delle donne contro la riforma dell’aborto

Corriere della Sera
Andrea Nicastro

MADRID — Ieri davanti al museo del Prado pareva di essere tornati nell’Europa degli anni ’70. Venti, forse trentamila donne che urlavano con le dita unite a rombo: «L’utero è mio e decido io», «né preti, né politici, né medici, solo le donne decidono se essere madri», «aborto libero e gratuito».

E’ stata la manifestazione femminista più imponente della Spagna degli ultimi 3o anni. C’era tutta la sinistra politica e sindacale, i collettivi, le associazioni, le Ong. Tutte in strada, arrivate con i «treni della libertà» dalla Spagna intera, contro la bozza di Disegno di Legge approvata dal governo per restringere al massimo il diritto all’aborto. Secondo le manifestanti è un ritorno al Medioevo che nasconde l’intenzione di chiudere le donne in cucina. Per le associazioni ultracattoliche, una legge insufficiente che continua a permettere l’infanticidio. Per il governo un progetto di equilibrio tra i diritti della donna e del feto. Nel programma elettorale con cui il Partido Popular ha sbaragliato le urne nel 2011 c’era l’abolizione dell’aborto express voluto dal socialista Zapatero anche per le minorenni. D progetto di legge firmato dal ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón va oltre. Limita l’aborto entro la 14esima settimana e solo in caso di stupro o rischio per la salute fisica o psichica della gestante. Nel «rischio psichico» può, evidentemente, entrare di tutto, ma dovranno essere due i medici a certificarlo e non la donna a deciderlo per se stessa. Torna, in sostanza, il controllo pubblico sul corpo delle donne. Tra le manifestanti con la pettorina viola non c’era la sensazione di partecipare ad un rituale politico, un no alla nuova legge obbligato ma inutile, vista la maggioranza assoluta di cui gode il governo in carica del presidente Mariano Rajoy. C’era, al contrario, la determinazione per una lotta vera. Un entusiasmo difficile da capire se si considera la fedeltà dei parlamentari Pp quando si è trattato di aumentare le tasse, ridurre i posti di lavoro, eliminare aiuti sociali. Eppure i cori di ieri, i «sì, se puede», sì possiamo farcela, sono giustificati. Primo, perché la protesta paga. Proprio a Madrid, la privatizzazione di sei ospedali è stata ritirata il mese scorso dal partito di maggioranza assoluta dopo quasi due anni di cortei. Secondo, perché l’aborto spacca il Paese in due. Anzi, la percentuale di chi lo considera un comportamento accettabile addirittura supera (fonte Bbva) hi lo considera sbagliato. Siamo al 44 contro il 39 per cento. In Italia, lo stesso studio, parla di un 41,5 a favore e di un 41 per cento di contrari. Terzo, perché, il progetto spagnolo è nel mirino di mezza Europa. Ieri ci sono state decine di cortei di appoggio alle spagnole in Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna. E Madrid è sensibile alla sua immagine moderna

Quarto, perché sull’aborto, la monoliticità del Pp si è già incrinata Almeno tre presidenti di Comunità, due uomini e una donna, si sono detti perplessi. Voci contrarie sono emerse a tutti i livelli del partito. Per evitare polemiche in pubblico, Rajoy ha escluso l’argomento dalla Coni ention in corso a Valladolid in vista delle elezioni europee. Gli interventi sono centrati sui segnali di ripresa economica, sulle promesse di riduzione dell’Irpef (lenta e dal 2015), sull’unità di Spagna (in barba alle smanie indipendentiste catalane), ma nulla, nulla, sull’aborto. Rajoy è un campione in questi dribbling, ma ha anche dimostrato di non voler forzare l’opinione pubblica quando non è necessario. Una revisione più liberale della legge potrebbe essere la soluzione migliore anche per il suo elettorato.