Si scrive web, si legge vita indipendente

Il Fatto Quotidiano
Franz Baraggino, Thomas Mackinson

VENTIMILA DISABILI POTREBBERO USCIRE DALLE STRUTTURE PROTETTE E MIGLIORARE LE PROPRIE CONDIZIONI. MANESSUNO LO SA

Liberati dalla rete. Sono i disabili Jgravi che hanno vissuto per anni dentro costose cliniche private o segregati in casa, con le famiglie, e che grazie a Internet e alle associazioni riescono a “evadere” dalla loro condizione per intraprendere una vita normale, lontano dalle loro prigioni personali. La via di fuga si chiama “vita indipendente”, una forma alternativa di assistenza che consente al disabile di ricevere direttamente i fondi di cui ha bisogno e gestirli in modo autonomo, scegliendo come e dove farsi curare. Il nome suggerisce qualcosa di inedito e sperimentale, ma solo perché se ne parla pochissimo. Negli Usa ci sono dagli anni Sessanta e in Italia sono stati introdotti 14 anni fa con un’apposita legge. Il nostro Paese li ha anche ratificati con una convenzione Onu all’insegna del diritto universale della persona ad autodeterminarsi, anche se colpita da gravi forme di disabiliti. Poi li ha messi nel cassetto, smettendo di erogare i fondi e lasciando che anche i disabili in condizioni di condurre una vita autonoma restino confinati nell’ambito delle loro famiglie o peggio, reclusi in costosissime strutture di ricovero, anche quando non necessitano di particolari terapie. I progetti attivati oggi sono meno di mille ed è tanto più paradossale perché se finanziati, i progetti di vita indipendente costano la metà rispetto all’assistenza domiciliare e un tezo delle rette delle cliniche. In altre parole, lo Stato risparmierebbe. La Svezia, ad esempio, ha finanziato 16 mila persone e ha abbattuto il costo orario dell’assistenza. In Italia però non succede. I 21 mila disabili gravi oggi inseriti nelle Rsa, cliniche e strutture convenzionate costano 380 milioni di euro l’anno. E poco importa se buona parte di loro potrebbe uscirne con un progetto di vita indipendente. Se solo lo sapesse. Perché a parte i fondi, che non ci sono, un intreccio di interessi respinge sistematicamente la diffusione di forme alternative di assistenza. L’informazione stessa di un diritto esigibile e unpercorso di affrancamento previsti per legge, infatti,viene cancellata e rimossa. I disabili e le loro famiglienon ne sanno nulla. Si guardano bene dal notificarla le strutture, le Rsa, le cooperative di assistenza che perderebbero un prezioso “cliente”. Ancora meno fa lo Stato che preferisce scaricare costi e problemi sulle famiglie. Grazie al web, però, questa censura inizia a mostrare crepe. Tanti, soprattutto giovani, riescono ad accedere a informazioni che non si trovano mai in bacheca, mai su un volantino. Ma in rete viaggiano grazie ai siti delle associazioni. Basta scrivere “vita indipendente” per trovarli. Claudio Savoldi, 41 anni, ha scoperto di poter gestire i soldi per la sua assistenza grazie al sito dell’Enil (European Network on Independent Living). E insieme all’associazione ha organizzato un progetto di vita indipendente con tutte le caratteristiche della fuga dal  carcere: “Ero come prigioniero – racconta – vivevo con sofferenza la condizione di assistito che a soli quarant’anni spegne la luce quando vogliono altri ed esce solo quando c’è la gita di gruppo. Ho perso 21 chili in pochi  mesi”. 

Poi si è imbattuto nell’associazione. “Se avessi saputo prima della vita indipendente – racconta – non avrei sofferto per tre anni una mancanza di libertà che non era motivata dalle mie reali condizioni di salute e di bisogno. Come me erano almeno dieci ricoverati su trenta a poterlo fare, ma nessuno si era preso la briga di  informarli”. Dalla sua “fuga” arriva l’ennesima conferma che liberare e  restituire i disabili alla società costa meno al contribuente. “Quando ero  in struttura il mio costo per lo Stato  era di 6.700 euro al mese. Oggi sono a casa mia, mangio e dormo quando voglio e scelgo in prima persona  quanto e da chi farmi assistere. E il tutto per 2.300 euro. La mia personalissima spending review”.