Si scrive “liberi di scegliere” e si legge “libera eutanasia”

Roma. Prima del dibattito sul "testamento biologico tra libertà di scelta e sacralità della vita", organizzato ieri pomeriggio all’Università Luiss dagli studenti dell’Associazione Coscioni per parlare della legge in discussione alle Camere, nella piccola aula gremita di studenti si proietta "Liberi di scegliere?".

 
Tredici minuti di brevi interviste ( video 1  e video 2) nei viali di varie università romane, belle facce di ragazzi e ragazze, colonna sonora lugubre, un unico tenia modulato a più voci: lasciateci liberi di morire, se la nostra vita non potesse più essere "normale", se fossimo ridotti a "vegetali". In questo caso "sarei contento di subire un’eutanasia", dice un ragazzo, mentre una ragazza, incoraggiata dall’intervistatrice, spiega che secondo lei in Italia non si parla abbastanza di "eutanasia e suicidio assistito" per colpa della chiesa. A lei, la morte "non fa paura, sono un’epicurea".
 
Alla fine, c’è pure il testamento biologico dell’autrice del video, Annalisa Chirico, che dichiara a futura memoria di non volere (nemmeno in caso di "demenza") essere sottoposta a trattamenti medici che considera invasivi. La stessa Chirico invita "chi lo vorrà", tra i presenti, a registrare "il proprio videotestamento", lì fuori, al banchetto della Coscioni. Dove però ci dicono che i  videotestamenti effettivamente raccolti sono pochini. Ma quanti? "Pochi", di più non è dato sapere.
 
Al dibattito, moderato dal direttore del Riformista, Antonio Polito, partecipano Beppino Englaro, Marco Pannella, Guliano Amato, Alfredo Mantovano e Raffaele Calabrò, relatore della legge sul biotestamento al Senato. Polito elenca i tre punti più controversi della normativa, che dopo il 20 giugno dovrebbe approdare alla Camera: la dichiarazione di inviolabilità e indisponibilità della vita, la non vincolatività delle dichiarazioni anticipate di trattamento e l’esclusione di alimentazione e idratazione dalla materia che può essere oggetto di quelle dichiarazioni. Beppino Englaro ripercorre con toni accesi la vicenda di sua figlia e la battaglia per consegnarla alla morte "che lei avrebbe voluto".
 
Dice che già dopo cinque giorni dall’incidente subito dalla figlia, se gli fosse stato concesso, avrebbe rifiutato ulteriori cure, e rievoca l’incontro con la Consulta di bioetica e il suo presidente, il neurologo Carlo Alberto Defanti. Prima di lui, era toccato all’ex ministro Giuliano Amato scaldare gli animi. Di una legge sarebbe stato meglio fare a meno, dice, ma è la giurisprudenza ondivaga (nel giro di un anno diverse sezioni di Cassazione  hanno dato risposte opposte a quesiti relativi al rifiuto delle cure) a costringere a questa scelta. Ma non a questa legge in discussione, dice, che nega la propria funzione, nel momento in cui non rende vincolante una decisione presa per quando non sarà più possibile prenderla. Nella foga, Amato esagera un po’. Se la prende con chi ha mostrato il volto radioso di Eluana quando certamente lei non era più così, dice che anche Terri Schiavo, al momento dell’autopsia, non assomigliava più alla donna sorridente che riceveva una carezza della madre (quell’autopsia riguardava una donna che da due settimane non era né nutrita né dissetata, visto che è morta di fame e di sete, ma evidentemente per Amato è un particolare insignificante). Quel che conta è che "se la legge rimanesse quella approvata al Senato finirebbe di sicuro davanti alla Corte costituzionale". All’opposto, il deputato Pdl Alfredo Mantovano ricorda come il vero consenso informato sia incompatibile con dichiarazioni anticipate vincolanti: in quanto anticipate, riguardano un oggetto che non è ancora in atto. Da qui la scelta, ‘in linea con la Convenzione di Oviedo", che parla di "tener conto dei desideri espressi dai pazienti in precedenza, non di vincolo assoluto". E Calabrò si dice "convinto che alla Camera non ci saranno modifiche sostanziali rispetto ai principi basilari della legge".