Se credete solo al Dna avete sbagliato tutto – Di padre in figlio le risposte dei geni cambiano sempre

La Stampa
Gabriele Beccaria

Quando vuole spiegare di che cosa si occupa, David Baulcombe usa una formula secca: «It’s not all in my Dna!». Non è tutto nel mio Dna!

Spesso la doppia elica e le quattro lettere che la compongono – A, C, G e T – vengono usate a sproposito. E c’è chi pensa di essere ciò che è per colpa o per merito del Genoma. Come se ci fosse un meccanico, e rozzo, rapporto causa-effetto. Baulcombe, capo del dipartimento di scienze botaniche alla University of Cambridge, sta esplorando l’ancora misterioso universo delle piante per smontare gli stereotipi di chi si è fatto imprigionare nella camicia di forza del determinismo genetico. Le cose – ha scoperto – sono decisamente più complicate. E a rivelarlo è la scienza di cui lui è diventato maestro: l’epigenetica. I geni non galleggiano nel vuoto. Sono influenzati dall’ambiente e quindi dall’insieme degli elementi in cui è immerso un organismo. Le loro «espressioni» possono modularsi come uno spartito musicale continuamente variabile e non c’è essere vivente che sfugga a questo destino. Ciò che vale per le piante vale anche per noi umani e il fascino dell’epigenetica – spiega Baulcombe – sta proprio nel fatto che fa a pezzi molte idee e ne propone altre, rivoluzionarie: dall’origine delle nostre malattie ai modi di coltivare il grano o i pomodori, fino a influenzare la concezione stessa dell’evoluzione, rendendone le logiche più sofisticate di quanto pensasse il suo ideatore di due secoli fa. Ospite a Roma, dove ha ricevuto il Premio Balzan della Fondazione omonima, Baulcombe salta volentieri da un tema all’altro, esattamente come suggeriscono i molteplici scenari disegnati dall’epigenetica. «Quando penso a Darwin, mi viene in mente il celebre schizzo dell’albero della vita che tracciò sui suoi taccuini. Una vera icona. In effetti oggi sappiamo che noi e le piante abbiamo un antenato comune, che non è altro che un’ameba.

L’epigenetica conferma, se ce ne fosse bisogno, la teoria dell’evoluzione, sebbene Darwin non conoscesse i meccanismi genetici delle variazioni nel corso del tempo». E anche se c’è chi deduce che la nuova disciplina tenda a mettere un po’ da parte Darwin e a ridare spazio al grande avversario – Lamarck – il professore inglese non ne è così convinto. «Nessuna ricerca ci dice che sia vera la famosa deduzione sul collo delle giraffe che si allungherebbe per raggiungere, un po’ alla volta, le foglie più alte». Se l’ereditarietà di alcuni caratteri acquisiti è una delle scoperte dell’epigenetica, contrariamente al pensiero del biologo e botanico francese non ci sono prove di quegli automatismi che hanno fatto sognare tanti studiosi.

«Le mutazioni non hanno necessariamente una direzione e un obiettivo – dice -. Tutto succede in modi “random”». Casuali, insomma. E questo è un punto fondamentale sul quale il professore – studioso di fiori, alghe e ibridi – ama insistere. I cambiamenti nei geni e quindi delle proteine che esprimono possono seguire esiti diversi. Persistere intatti da un padre a un figlio oppure – sottolinea – «resettarsi» rapidamente o, ancora, perdersi per ripartire in modi nuovi. Non c’è – che si sappia – un modello prestabilito. Si osserva piuttosto una molteplicità di quelle che vengono definite «manifestazioni molecolari», indotte da aspetti specifici dell’ambiente (e che possono essere quasi infiniti): dall’intensità delle piogge che infradiciano una pianta all’alimentazione di un essere umano.

C’è un esperimento, ormai diventato un classico, che chiarisce la questione. Baulcombe e il suo team hanno manipolato il genoma di alcune piante, inserendo la proteina di una medusa, e hanno studiato le reazioni all’attacco di un virus. Da una generazione all’altra. Mentre la clorofilla è fluorescente al rosso, quando viene esposta ai raggi ultravioletti, nelle nuove creature reagisce al verde. «La fluorescenza, così, funziona esattamente come un semaforo. Se le piante rispondono al verde, il gene è attivo. Se invece rispondono al rosso, il gene è spento». Ed è questo semaforo ad aver comunicato informazioni preziose. Appena il virus viene scatenato in laboratorio, ecco che la proprietà di reagire al verde si perde: non solo i biotecnologi hanno avuto la prova che le loro tecniche funzionano, ma a eccitarli è stato un fenomeno sorprendente. Una volta analizzati i semi delle piante infettate, hanno scoperto che il gene continuava a rimanere spento. Dai padri ai figli, ai nipoti. E la «colpa» non era del virus. Erano le piante stesse ad aver imparato il nuovo comportamento, adottando quella che Baulcombe definisce «una memoria biologica, di tipo soft».

Adesso le ricerche stanno proseguendo «in due direzioni principali – sottolinea -: gli ibridi, nei quali studiamo come combinazioni di geni diversi si trasformino in variazioni ereditabili, e, poi, le trasformazioni di una piccola alga, chiamata chlamydomonas, che è particolarmente interessante per le mutazioni in rapporto agli habitat in cui viene inserita». Nell’uno e nell’altro caso lo spettacolo di queste metamorfosi è una porta spalancata sulla complessità dei patrimoni genetici degli organismi e di conseguenza il viaggio nell’universo della flora rappresenta solo l’inizio di un’avventura globale. Baulcombe sottolinea che imparare a maneggiare i geni darà nuove armi per combattere tante malattie – dai tumori fino all’Hiv – e per molto altro.

Ma a preoccuparlo – riflette alla fine della conversazione – è un altro aspetto legato alle amate piante. Vale a dire tutto il cibo necessario per nutrire un’umanità che ha già oltrepassato la soglia critica dei sette miliardi di individui. «Entro 20-30 anni rischiamo una carestia generalizzata: i problemi della scarsità e della sicurezza degli alimenti sono e saranno sempre più legati. E’ una sfida immensa, eppure non la si valuta in tutte le sue sfaccettature». E spiega: «Per gli economisti è una questione di aggiustamento dei mercati. Per i produttori di cibi organici è una di “pratiche pulite”. Per i biotecnologi è una di manipolazioni genetiche e quindi di Ogm. Ma la realtà è che nessuno di loro è nel giusto. L’antagonismo che li contraddistingue non ci porterà da nessuna parte. Soltanto se accetteranno di seppellire l’ascia di guerra e cominceranno a confrontarsi seriamente, sarà possibile trovare soluzioni efficaci». Parola di scienziato – abituato alle lezioni dei fatti – che non rinuncia al suo sorriso contagioso.