Sclerosi multipla. Una cura che fa discutere

Viversani & Belli
Testa Cinzia

Da poco si è chiuso il congresso internazionale sulla sclerosi multipla. Ma non si sono spente le discussioni sulla tecnica Zamboni. A riaprire il dibattito è stata la presentazione dello studio Cosmo, promosso dalla Fondazione italiana sclerosi multipla. I dati hanno dimostrato che il 97% delle persone con sclerosi multipla esaminate non soffre di insufficienza venosa cerebrospinale cronica, cioè del difetto che secondo il professor Paolo Zamboni, sarebbe tra le cause della malattia. Abbiamo interpellato gli specialisti coinvolti per sentire direttamente le loro posizioni. Sviluppando modernamente una ricerca francese della metà dell’800, il professor Paolo Zamboni arriva alla conclusione che nei malati c’è un restringimento delle vene di scorrimento del sangue dal cervello, che è presente dalla nascita. Questo fatto ridurrebbe la perfusione e l’ossigenazione del cervello. Nell’arco di 20-30 anni si creerebbe un accumulo di ferro nei vasi sanguigni cerebrali che sarebbe tra i responsabili delle reazioni, che provocano quella cascata di eventi a loro volta responsabile dei danni al tessuto nervoso e dei sintomi caratteristici di questa malattia. Questo meccanismo è stato chiamato Ccsvi, acronimo di insufficienza venosa cerebrospinale cronica. «Nel 2009 ho pubblicato insieme ad altri autori, un lavoro che dimostrava la presenza della Ccsvi nelle persone con sclerosi multipla sotto forma di ostacoli al flusso, nel 90% delle vene giugulari e nell’86% delle vene azygos (nella cavità addominale, ndr)» dice il professor Paolo Zamboni, direttore del Centro disturbi vascolari dell’università di Ferrara. «La nostra dimostrazione si avvaleva della combinazione di due esami: I’ecoDoppler e la flebografia con catetere». Per risolvere la Ccsvi viene utilizzata l’angioplastica, la stessa tecnica usata per dilatare le vene in caso di problemi cardiaci. Attraverso le vene femorali viene fatto arrivare al vaso ostruito un palloncino sgonfio. Quando è nel punto col passaggio parzialmente chiuso, viene gonfiato in modo da dilatare il blocco. Così, il sangue riprende a scorrere a livello cerebrale, con un presumibile miglioramento della ossigenazione e della detossificazione cerebrale. Il metodo Zamboni non risolve la sclerosi multipla. I danni causati dalla malattia non si cancellano. Ma dopo l’intervento sembrerebbero diminuire gli attacchi, che sono una caratteristica della sclerosi multipla. «Trattare la Ccsvi è un’opportunità di migliorare un aspetto della malattia precedentemente sconosciuto, e non modificabile con le terapie correnti» chiarisce il professor Zamboni. «Questo non significa che il malato possa sospendere le cure in corso. Le indicazioni farmacologiche vanno rispettate».  Uno studio, di vari ricercatori tra i quali il neurologo Giancarlo Comi, è giunto a risultati opposti. Sono stati esaminati circa 500 pazienti che si sono sottoposti al metodo Zamboni. Le conclusioni del lavoro evidenziano che non c’è alcun beneficio evidente dall’intervento chirurgico per la Ccsvi nei malati di sclerosi multipla. «E uno studio molto più ampio rispetto a quelli pubblicati fino a oggi, ma ha anche molte limitazioni essendo non controllato e retrospettivo» interviene il professor Giancarlo Comi, direttore del dipartimento neurologico, dell’ospedale San Raffaele di Milano e coordinatore dello studio Cosmo insieme al professor Gian Luigi Mancardi. «Dall’analisi dei casi è emerso che la procedura per risolvere la Ccsvi non ha determinato miglioramenti nella disabilità». Anche nei pazienti che hanno riferito un miglioramento non sono emersi benefici nella valutazione della progressione della disabilità per cui, dichiarano gli esperti «i benefici percepiti possono essere largamente attribuiti alle grandi aspettative dei pazienti stessi per un intervento chiamato dai malati “liberazione”».  Lo studio Cosmo, durato due anni, ha coinvolto 35 centri neurologi sparsi in tutta Italia. La valutazione finale è stata effettuata su 1.165 persone con sclerosi multipla, a confronto con 376 controlli normali e con 226 persone con altre malattie neurologiche. Per identificare la prevalenza della Ccsvi nelle persone con la sclerosi, è stata utilizzata la tecnica dell’ecodoppler: ll 97% delle persone malate esaminate non soffre di insufficienza venosa cerebrospinale cronica. Non è d’accordo l’associazione di pazienti “Ccsvi nella Sclerosi Multipla” che solleva dubbi sull’attendibilità dello studio, a partire dalla metodologia impiegata: non è stata utilizzata la flebografia con catetere, che viene considerata l’esame ad hoc a livello internazionale per la diagnosi della Ccsvi. A primavera ha preso il via un altro studio denominato “Brave Dreams”. Sono 700 i pazienti coinvolti, in 19 centri di ricerca sparsi in tutta Italia, valutati in base a criteri estremamente rigorosi. II primo “step” è già partito con 60 malati dell’Arcispedale di Ferrara e quindi la sperimentazione proseguirà negli altri centri, sotto l’osservazione di un Comitato scientifico interdisciplinare. «Non è accettabile che i malati vengano sottoposti a procedure che non hanno più una base strutturale» commenta il professor Comi «considerando anche la quantità di effetti collaterali che può portare con sé». Da una parte gli specialisti vascolari trovano l’associazione Ccsvi-sclerosi multipla in oltre il 70% dei casi, e nel 10% dei sani. I dati che provengono dal versante neurologico arrivano invece a conclusioni opposte, più simili a quelle dello studio Cosmo. Alla luce dei risultati di quest’ultimo, andrà allora tenuta sotto controllo anche la posizione del Nice, National istitute for health and clinical excellence, l’istituto britannico analogo al nostro Consiglio superiore di sanità, che nei primi mesi di quest’anno ha incoraggiato ulteriori ricerche in questo campo e sulla base della letteratura scientifica sulla Ccsvi, considera i dati di sicurezza disponibili sicuramente significativi e, quindi, idonei a certificare il trattamento di angioplastica dilatativa all’interno di percorsi di ricerca. Andrà tenuta sott’occhio, però, anche la Fda, l’ente americano che regolamenta tutto ciò che accade negli Usa in ambito sanitario: sta informando medici e ricercatori che stanno pianificando o conducendo studi clinici in cui si utilizzano dispositivi medici per il trattamento della Ccsvi, che questi devono essere conformi alle normative regolatorie su quelli sperimentali. Questo, alla luce di segnalazioni di decessi, ictus, distacco e migrazione degli stent, danni alla vena trattata, trombi, danni ai nervi cranici, associati alla procedura sperimentale. Le cure devono cominciare subito dopo la diagnosi. Secondo anche studi recenti, se vengono iniziate quando la sclerosi è in fase molto iniziale è più sensibile all’azione delle sostanze farmacologiche, con maggiori probabilità di tenerla bene sotto controllo. L’interferone beta 1a o 1b è certo il più consolidato in quanto a esperienza clinica. Fa parte della classe degli immunomodulanti, cioè in grado di modificare la risposta del sistema di difesa dell’organismo che nei malati di sclerosi è alterato. Viene quasi sempre proposto come prima opzione di cura. Si prende per via intramuscolare oppure sottocute, due-tre volte alla settimana in base alle indicazioni del medico curante. Unico problema, può provocare disturbi simil-influenzali talvolta anche intensi. Se i disturbi sono così forti da aumentare il rischio di abbandono della cura, viene in aiuto un altro principio attivo, il glatiramer acetato. Fa sempre parte della stessa famiglia di immunomodulanti, ma ha un’azione diversa, il che permette a questo principio attivo di non avere gli stessi pesanti effetti collaterali degli interferoni. Può provocare però un calo dell’attività respiratoria. Si prende per iniezione sottocute una volta al giorno. Un’altra opportunità di cura è il medicinale chiamato fingolimod. Questo farmaco agisce sul sistema di difesa dell’organismo. Viene prescritto quando l’interferone e il glatiramer acetato non riescono più a tenere sotto controllo gli attacchi. Si prende per bocca tutti i giorni e può provocare, come effetti collaterali, incremento degli enzimi epatici, aumento della pressione arteriosa e, talvolta, una riduzione della frequenza cardiaca, che però si risolve da sé. 

Gli specialisti: Parla il professor Paolo Zamboni.

A cosa porterà questo dibattito?

Purtroppo in questo momento la comunità neurologica è poco incline al dialogo e, quel che è peggio, poco disponibile a collaborare. Devo rilevare con amarezza che addirittura la loro società scientifica apertamente ghettizza il neurologo che voglia formare un gruppo interdisciplinare di ricerca con noi ricercatori vascolari.

Qual è la sua posizione rispetto allo studio Cosmo?

Posso anticipare che ci sarà una ricerca che darà delle risposte allo studio Cosmo nel futuro prossimo, usando metodiche diagnostiche più oggettive e integrate fra loro.

Qual e l’obiettivo dello studio Brave Dreams?

L’ipotesi scientifica è verificare se l’aggiunta della angioplastica possa controllare meglio la sclerosi multipla. Realisticamente potrà fornire solidi dati non prima di due anni.

La parola al neurologo: Parla il professor Giancarlo Corni.

Sarebbe possibile, se necessario, riesaminare i risultati dello studio Cosmo?

Tutti gli esami sono stati registrati. Quindi, sono assolutamente disponibile a una revisione di tutt’ i dati raccolti e a una rilettura e riclassificazione dei risultati degli esami. Ovviamente, sempre in “doppio cieco”, come nello studio originale.

Che cose risponde all’annotazione relativa all’esame utilizzato? La Ccsvi è stata identificata dal professor Zamboni utilizzando l’ecoDoppler. Per avere questa condizione bisogna avere alterati almeno 2 dei cinque parametri di valutazione. In uno studio Zamboni rilevò che dei 60 pazienti con Ccsvi individuata con esame doppler il 100% aveva alterazioni anche alla venografia. Studi successivi hanno dimostrato che ciò non è sempre vero, cioè la positività per Ccsvi non è spesso associata all’evidenza di alterazioni alla venografia. Lo studio Cosmo dunque si basa sull’uso dello stesso criterio diagnostico.

Per quanto riguarda l’obiezione sugli esperti coinvolti?

I neurologi hanno fornito i casi per gli studi e gli studi ecodoppler sono stati eseguiti da sonologi di varia estrazione, radiologi, neurologi e chirurghi vascolari. La valutazione centralizzata degli esami è stata fatta da grandi esperti della materia: due sono presidenti di società nazionali di sonologia e il terzo è un ricercatore considerato unanimamente uno dei massimi esperti di doppler venoso.