Roccella, la vergine di Norimberga

Beatrice Busi

roccellaChi l`avrebbe mai detto che gli storici avversari della legge sull`interruzione di gravidanza, avrebbero poi indossato il mantello da difensori, diventandone scrupolosi esegeti? In effetti, durante il dibattito che precedette l`approvazione della legge, il movimento femminista aveva più volte avvertito che "affidare" allo Stato la regolamentazione dell`aborto avrebbe significato esporre le donne all`arbitrio di istituzioni giudiziarie, amministrative e mediche, consegnandole ad un`altra forma di controllo sulle loro scelte, più sottile. Per questo il movimento chiedeva una depenalizzazione che rendesse l`aborto libero, gratuito ed assistito e non la sua "legalizzazione".

Mai come oggi, però, con il panico strumentalmente creato attorno all`introduzione anche in Italia della Ru486, è stato chiaro quanto la legge 194, sia stata sì una conquista di civiltà ma anche, una mediazione al ribasso, rispetto alle trasformazioni culturali e sociali a tutto tondo prefigurate dal movimento delle donne. Ela stessa legge, infatti, a prestare il fianco alla schizofrenia delle posizioni teocon, che da un lato gridano alla presunta incompatibilità dell`aborto farmacologico con la 194 e dall`altro incitano i medici all`obiezione di coscienza, il vero vulnus nell`applicazione della legge.

Un ricatto, quello dell`obiezione di coscienza, consentito e regolamentato dalla stessa 194, pensato e concesso come gesto di rispetto e tolleranza nei confronti degli operatori sanitari cattolici che trent`anni fa non si sentivano "pronti" ad anteporre la salute delle donne alle proprie private convinzioni, ma che oggi, non ricambiando il favore -, ha travalicato ogni ragionevolezza. E ` evidente, del resto, che la Ru486 fa così tanta paura proprio perché, concedendo alle donne un margine di libertà in più, limitan-do il tempo dell`ospedalizzazione e il numero del personale medico e infermieristico coinvolto nella procedura, è destinata a spuntare l`arma dell`obiezione. Eppure, in questo folle dibattito estivo attorno alla pillola abortiva, il dato più inquietante è l`eccitazione sadica che trasuda dalle dichiarazioni delle eminenze e dei loro zelanti ministranti "laici". Un`eccitazione unilaterale che – contravvenendo all`etica sadomaso -, non prevede affatto il consenso dell`oggetto del desiderio, il corpo delle donne. Il sottosegretario Roccella, infatti, ormai completamente calata nel ruolo della vergine di Norimberga, ci tiene a far sapere che sta studiando un`oscura selva di divieti – in perfetto stile legge 40 contro la fecondazione assistita -, per mortificare con l`imposizione di regole-cilicio non solo la libertà di scelta delle donne, ma anche, più in generale, il buon senso. Come l`ipotesi di vincolare l`impiego della Ru486 ad un ricovero di almeno tre giorni – sebbene l`espulsione dell`embrione sia di per sé imprevedibile che trasformerebbe l`interruzione volontaria di gravidanza in un trattamento sanitario obbligatorio. O il "test socio-psicologico", per stabilire i "requisiti minimi di sicurezza ai fini dell`attuazione dell`intervento stesso". Ed è proprio qui, nella definizione delle "categorie a risccio", che la perversione punitiva raggiunge il suo apice. Secondo Roccella, sarebbero da escludere le donne che non hanno un`adeguata competenza linguistica dell`italiano. Come a dire, dato che il numero delle cittadine straniere che ricorre all`aborto è in continua crescita, anziché pensare di estendere e incoraggiare il ricorso a mediatrici e mediatori culturali che affianchino il personale sanitario, è meglio risolvere il problema alla radice togliendo in partenza, alle donne migranti, la possibilità di ricorrere al metodo farmacologico. In piena coerenza con i provvedimenti razzisti del decreto sicurezza.

Da escludere, poi, sarebbero anche le donne che risiedono ad oltre un`ora da un ospedale o che non possiedono un`auto, quelle che non hanno un`alta tolleranza del dolore – sperando che non sia allo studio anche un test ad hoc per misurare la resistenza alla sofferenza fisica -, e, infine, quelle "sole" o prive di assistenza. Insomma, dopo un secolo e mezzo di lotte delle donne per la conquista della piena cittadinanza, prepariamoci a passare dal vecchio istituto dell`autorizzazione maritale a quello dell`autorizzazione ministeriale. Ma c`è un ulteriore preoccupante scenario, evocato da Ilavia Amabile su La Stampa. Ovvero, che alle linee guida alla Lynndie England, si aggiunga, come deterrente, anche la
minaccia delle denunce penali nei confronti delle donne che scelgano di non rimanere in ospedale dopo l`assunzione della Ru486. Un film poliziottesco, purtroppo già visto.

Non solo prima dell`approvazione della 194, quando le donne, "per aborto" venivano denunciate, processate e, a volte, finivano anche in galera. Ma .anche, più di recente, quando, nel febbraio dello scorso anno, la polizia fece irruzione nel policlinico di Napoli per un sospetto "feticidio" alla ventunesima settimana, che in realtà era un aborto terapeutico. Durante il blitz, effettuato senza, mandato, furono interrogate pazienti, medici e infermiere, sequestrato il materiale abortivo, fotocopiata la cartella clinica della donna che aveva interrotto la gravidanza. Ma quello stesso giorno, era successo anche qualcos`altro.Per protestare contro l`abuso della polizia napoletana, in tutta Italia, migliaia di donne si sono mobilitate in presidi spontanei, cortei e blocchi stradali.

A Milano, due anni prima, in 250mila avevano attraversato le strade di Milano in difesa dell`autodeterminazione contro gli attacchi politici ed ecclesiastici alla 194. Non sarà che, ancora una volta, i governi sottovalutano troppo la capacità di reazione e di autodifesa delle donne?