Risse da bar tra gli scienziati

Domenica – Il Sole 24 ore
Gilberto Corbellini

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Quando si discute di rapporti tra scienza e società alcuni argomenti son dati per scontati, o lasciati nel vago. Per esempio, di fronte a temi che sono controversi perché chiamano in causa diversi orientamenti culturali nelle percezioni dei rischi, chi vuole rivendicare una plausibilità scientifica per qualche posizione che non è provata o è addirittura confutata dice che «gli scienziati sono divisi», o che «la scienza è divisa».

Come se i fatti potessero stare in un modo, ma anche al contrario. Si pensi al cambiamento climatico, all`uso civile del nucleare, ai vaccini, all`evoluzione biologica, alla sperimentazione animale, alle staminali embrionali, agli ogm, etc. Perché la tesi che gli “scienziati” sarebbero divisi ha così presa, e soprattutto è anche vera, malgrado la “scienza” non sia mai divisa? Ancora. Quasi tutti gli scienziati pensano che le controversie intorno ai temi appena citati dipendano da una scarsa comprensione della scienza da parte dei cittadini comuni e che se si riuscisse a migliorare l`alfabetizzazione scientifica “civile” le cose andrebbero meglio.

Non c`è alcun dubbio che l`alfabetizzazione scientifica è scarsa. Ma di cosa parliamo quando cí riferiamo all`alfabetizzazione scientifica? Ed è l`analfabetismo scientifico, la causa delle controversie, o non forse il contrario? Infine, è vero che chi più sa di scienza è più immunizzato dal manipolare i fatti o dall`avversare pregiudizialmente le prove? Dopo la scoperta che siamo animali con una “razionalità limitata”, e che quando sono in gioco valori morali e sentimenti politici, le emozioni soggiogano anche quella parte di noi che è razionale, sono stati fatti studi sperimentali per capire come stanno le cose rispetto alle questioni di cui sopra.

Lo psicologo e docente di diritto alla Yale University, Dan Kahan, negli ultimi anni ha fatto scoperte significative su come interagiscono davvero i cosiddetti sistemi cognitivi “1” e “2” di Daniel Kahneman, quello (1) che decide usando euristiche veloci e quello (2) che ragiona lentamente, quando le scelte da prendere possono entrare in conflitto con dei valori identitari e allo stesso tempo serve usare dati scientifici quantitativi. Kahn ha studiato prima di tutto cosa accade quando a soggetti che si riconoscono in valori individualistici e gerarchici o comunitari ed egualitari, diversamente associati, viene chiesto di esprimere la sua percezione dei rischi per salute, sicurezza e prosperità dovuti a vaccini, vendita di armi, nanotecnologie, ogm, regolamentazione governativa, fumo di sigarette, immigrati illegali, riscaldamento climatico, spesa pubblica, terrorismo, droghe, etc. I risultati sono stati spettacolari.

Gli individualisti e gerarchici, che negli USA coincidono abbastanza con i repubblicani, e gli egualitari o comunitari, che coincidono con i democratici, percepiscono i rischi in modo contrario, a prescindere dai numeri e rispetto alla media della popolazione, quando sono in gioco valori come libertà economica e personale o qualità dell`ambiente e solidarietà. I repubblicani giudicano basso il rischio per possesso privato di armi, riscaldamento globale o uso dell`energia nucleare; mentre i democratici non vedono rischi dall`aumentare le tasse, dall`immigrazione illegale e dall`aumento della spesa pubblica. Invece, si collocano nella media quando devono stimare i rischi dovuti all`uso di ogm.

Ha scoperto l`acqua calda, qualcuno dirà. È solo l`antipasto. Lavorando più a fondo con ingegnosi esperimenti di psicologia cognitiva ha scoperto che non è il deficit di comprensione della scienza che causa le controversie, ma il contrario. E che se la comunità scientifica non si protegge dalle risse da bar tra populisti o tifosi delle diverse consorterie, si fa contaminare delle derive di politicizzazione della scienza. Il fenomeno descritto e sperimentalmente analizzato da Kahn della “cognizione culturale”, vale a dire che le persone tendono a conformare la loro percezione del rischio a quella che predomina all`interno di particolari gruppi affini, che si caratterizzano per valori politici (destra o sinistra) e culturali (religiosi o non religiosi) condivisi, non risparmia gli scienziati.

Le persone che sanno usare i numeri per capire un problema difficile (quindi gli scienziati) sono più brave a evitare le trappole cognitive, se non sono influenzate dalla cognizione culturale. Per esempio, capiscono al volo come evitare i bias di conferma delle ipotesi se esposti ai dati di una sperimentazione o un`osservazione rispetto all`efficacia di un trattamento o alla rischiosità di una sostanza. Ma se l`argomento riguarda un tema pesantemente influenzato dalla cognizione culturale, le persone che sono più brave a usare i numeri, ovvero gli scienziati, lí usano in modo corretto solo quando questi, adeguatamente interpretati, supportano la conclusione congeniale alla loro ideologia. E lo fanno in modo più partigiano di quanto non faccia chi cade nelle trappole cognitive perché non sa di statistica.

Per esempio, se il tema è la messa al bando delle armi da fuoco, sia quelli che capiscono di statistica sia chi non capisce si schiera da una parte o dall`altra a seconda se è individualista/gerarchico (contro) o comunitario/egualitario (pro). Ma la dimensione della discrepanza nella probabilità di dare la risposta corretta al test tra i soggetti meno bravi è più piccola se il test riguarda le armi, piuttosto che se riguarda un trattamento medico, rispetto all`entità della discrepanza per quelli più bravi con la statistica. Il motivo è che quelli alfabetizzati in matematica, rispetto a quelli che non lo sono, sanno vedere correttamente quando i dati supportano i preconcetti che prevalgono nel loro gruppo ideologico di riferimento. I bravi possono usare in modo perverso la loro capacità di ragionamento mettendo in atto vie di fuga confabulatorie che consentono sfuggire ai vincoli della logica.

Ecco perché la tesi che l`alfabetizzazione scientifica migliora il rapporto tra scienza e società è sbagliata se non si specifica di quale scienza si parla e di quale livello di alfabetizzazione. Migliorando solo la comprensione della scienza presso il largo pubblico, non si uscirà dalle controversie e dai conflitti su decisioni rilevanti per la scienza. Il problema non sempre è che c`è poca razionalità, ma anche che a volte ce n`è troppa al servizio dell`emotività. Le persone usano le loro capacità di comprensione della scienza in modo opportunistico per adattare i dati fattuali sulle percezioni dei rischi a quelle che dominano nel loro gruppo. Nella misura in cui capiscono meglio la scienza, allora il problema si può anche aggravare. Che fare? Agire sul fronte dell`istruzione, sul lungo periodo, e intanto la comunità scientifica dovrebbe bonificare il proprio ambiente ed evitare le derive partigiane.

Gli scienziati non dovrebbero farsi domande tipo: perché la sinistra ha problemi con la scienza? I problemi con la scienza ce li hanno sia la destra sia la sinistra, e la scienza stessa oggi spiega perché. O si parte da qui, o si chiacchiera a vuoto. Non è che migliorare la comprensione della scienza sia un errore, ma può funzionare utilmente in un contesto democratico soltanto se l`ambiente della comunicazione scientifica, quello che può essere controllato dagli scienziati attraverso strumenti che vanno dalle società scientifiche agli interventi pubblici (non come esperti, per carità!), viene protetto dai significati culturali tossici che compromettono la capacità dei cittadini di usare il pensiero critico. Se non si fa così, si finisce per sputtanare lo stesso pensiero critico.