Risarcimento al minore che nasce malformato.

Il Sole 24 Ore
Adolfo di Majo

Sulle gravi conseguenze della nascita malformata di minori la nostra giurisprudenza, specie quella di legittimità, continua ad intervenire con decisioni coraggiose e che innovano sullo stato del diritto esistente. L’ultima è la Corte di cassazione con sentenza n. 16754 del 2012. Nel caso esaminato dalla Corte si trattava di decidere se il minore, a seguito di malformazione subita in occasione di gravidanza, avesse un titolo specifico ad agire nei riguardi del medico per lamentare, oltre ai propri genitori, un danno subito in proprio, sollecitando così un risarcimento. Ormai da tempo, nelle aule giudiziarie non si discute soltanto degli errori materiali in cui può incorrere il medico nei propri interventi o quando somministra farmaci dannosi per il feto, ma piuttosto della mancata o difettosa informazione circa la rischiosità della gravidanza con riferimento ai pericoli di nascite malformate e ciò senza che il medico possa avere colpa nella insorta malformazione. Già in precedenza altre sentenze, con riguardo alla madre, hanno affermato che il medico è responsabile, nei suoi riguardi, del danno subito da una gravidanza non desiderata, quando, in presenza di una adeguata informazione, essa avrebbe esercitato il suo diritto di abortire, entro i limiti in cui l’aborto è consentito (e cioè del danno alla sua salute). Tuttavia era stata negata specifica tutela al minore con riguardo ad un proprio danno a causa della malformazione. La giurisprudenza si era arrestata davanti alla difficoltà di individuare un diritto o una situazione giuridicamente protetta del minore, tale da potere giustificare il risarcimento del danno (in questo senso si erano pronunciate Cassazione nn. 14488/04 e 16123/06). Per le pronunce in questo caso sarebbe stato contrario ai principi e alla legge, sostenere che il minore potesse vantare un diritto a nascere sano o anche un diritto a non nascere se non sano. Non il primo, perché conduce direttamente a pratiche eugenetiche post-natale che si dicono non consentite nel nostro sistema; non il secondo perché esso avrebbe coinciso con la sua violazione, nel qual momento non vi sarebbe stato più il soggetto (destinato a farlo valere). La decisione richiamata, dopo una puntigliosa disamina dei precedenti e ricca di riferimenti, anche extragiuridici, ha ritenuto invece di poter superare gli ostacoli finora opposti al riconoscimento del danno fatto valere dal minore. Si tratta di una soluzione innovatrice e coraggiosa perché testimonia come, a fronte di un bisogno ineludibile di tutela, invocato dal minore, e di ottenere misure che, in qualche modo, possano alleviare le sue sofferenze, identifica elementi di responsabilità, anche aldilà della violazione o lesione di diritti, nel pregiudizio subito da valori primari, che, si potrebbe dire, sono anche a monte di diritti difficilmente predicabil i. Il «danno risarcibile» conseguente alla lesione di un interesse giuridicamente rilevante (e costituzionalmente tutelato) non ha riguardo alla nascita, e tantomeno alla malformazione. Attiene, viceversa, allo sviluppo stesso del minore, della sua vita, delle sue relazioni sociali, della libera e completa esplicazione ed estrinsecazione della sua personalità destinata a scontare una precisa volontà manifestata dalla madre: quella di non interrompere la gravidanza, quella di non impedirne la nascita (presupposto imprescindibile perché si possa arrivare all’accoglimento di un’istanza risarcitoria in proprio del neonato). È dunque presumibile, su di un piano di causalità del probabile (criterio di indagine del nesso etiologico che caratterizza ormai costantemente le sentenze della nostra giurisprudenza civile), che il nascituro (non importa se malformato) venga alla luce in un ambiente poco o nulla disposto ad accoglierlo con affetto, amore, dedizione (integrandolo appieno nella societas familiare secondo le indicazioni del Costituente agli articoli 2, 3, 29, 30 e 31 della nostra Carta dei diritti fondamentali). La fondata probabilità di questa possibile lesione al suo corretto sviluppo emotivo e fisico e il timore che un risarcimento lasciato esclusivamente in mani d’altri (la madre, il padre) possa non raggiungere i suoi scopi hanno indotto il collegio della III Sezione civile ad una soluzione certo densa di ostacoli e, a prima vista, forse anche facilmente criticabile.