Ricerca, serve anche ripensare i criteri di assegnazione dei fondi

di Piergiorgio Strata
Caro Direttore,

voglio rispondere e ringraziare personalmente il Presidente della Commissione Sanità al Senato Ignazio Marino per le parole di attenzione e apprezzamento che ha espresso qualche giorno fa sul suo giornale in merito all’iniziativa lanciata insieme all’Associazione Luca Coscioni riguardante l’appello di scienziati e accademici al Ministro Livia Turco perché i 350 milioni per la ricerca siano assegnati secondo criteri scientifici. Finora quell’appello – che ha avuto una bassa eco sui giornali e sulle tv – ha raccolto però la sottoscrizione di oltre 600 ricercatori, scienziati e accademici che stanno chiedendo al Ministro Livia Turco di cambiare sistema di assegnazione dei fondi da parte del sistema pubblico.

Per continuare il dialogo con quanto scritto dal Presidente Marino voglio aggiungere che se è vero che l’economia di un paese dipende dagli investimenti in ricerca è importante dotarsi anche di un sistema di distribuzione delle risorse che sia altamente meritocratico. Il metodo seguito praticamente in tutti i paesi sviluppati è quello detto ‘peer review’. Pur con qualche variante, in linea di principio si tratta di emanare un bando pubblico su un determinato oggetto di ricerca, nominare dall’alto una commissione di esperti con ottime referenze scientifiche alla quale assegnare il compito di valutare i progetti, e di stabilire l’entità del finanziamento necessario per portare a termine la ricerca. Per fare questo i membri della Commissione si avvalgono della collaborazione di revisori esterni i quali sono dei superesperti del singolo progetto che, in maniera del tutto anonima, esprimono un giudizio di merito. Alla Commissione spetta il compito di amalgamare i giudizi ricevuti e di stilare una graduatoria finale.

La nomina della Commissione è il punto più critico ed il risultato finale dipenderà da questa scelta. Inoltre, le regole vogliono che i commissari non possano essere destinatari di finanziamento e che i revisori anonimi esterni non solo non possano essere scelti tra chi fa domanda di finanziamento, ma neppure giudicare progetti di chi ha con loro collaborato in tempi recenti. Queste regole in altri paesi sono consacrate dall’uso e non richiederebbero di essere legiferate, ma nel nostro caso è auspicabile che siano chiaramente esplicitate, come è auspicabile che la Commissione nominata dall’alto contenga colleghi stranieri, possibilmente in misura pari ad almeno il 50%.
In Italia, questo metodo è poco diffuso a livello di distribuzione di finanziamenti pubblici. Per antica tradizione sono state tramandate nel tempo procedure di diverso tipo. Un modello è quello di affidare la distribuzione dei fondi ad un comitato di persone elette dai destinatari di tali risorse. Il punto debole di questo sistema sta nel fatto che la persona eletta da un raggruppamento disciplinare decide come distribuire le risorse tra i suoi elettori. Pertanto, la decisione è condizionata da almeno due fattori: da una parte manca l’anonimato nel potere decisionale e dall’altra vi è un inevitabile imbarazzo nel distribuire risorse tra chi magari aveva fatto campagna elettorale per il vincitore rispetto a quelli che l’avevano fatta per gli sconfitti.

Considero come la più grande riforma fatta dal Ministro Berlinguer l’avere rotto questo meccanismo almeno a livello del sistema universitario ed avere introdotto per la prima volta il sistema di valutazione tramite revisori esterni anonimi come il PRIN.
Ancora un altro modello è quello definito progetto strategico. In questo caso, definito un tema di importanza strategica, si chiede ad una persona o ad un gruppo di persone di identificare coloro che possono contribuire allo svolgimento del progetto. Questo viene poi presentato nelle sedi istituzionali per essere approvato. Spesso, anche la persona o le persone incaricate di organizzare il piano diventano destinatari del finanziamento.
Tutti questi sistemi soffrono di conflitti di interesse, di mancanza di una reale indipendenza di giudizio e sono soggetti a inevitabili, odiose ed imbarazzanti pressioni esterne. Credo che sia giunto il momento di cambiare rotta e che si imponga l’obbligo per tutti i finanziamenti pubblici di seguire la strada che è ormai in uso in tutti i paesi sviluppati. Anche le Fondazioni bancarie potrebbero adottare un simile rigoroso sistema.
Rimane un punto critico: qualunque valutazione può fallire se chi la dirige dall’alto non è in grado o non ha la volontà di controllare e di influenzarne la qualità.

In Italia all’inizio degli anni novanta nacque Telethon per iniziativa di Susanna Agnelli. In pochi mesi fu messo in piedi un sistema di peer review con una Commissione scientifica che includeva prestigiosi ricercatori stranieri e di valutazioni esterne anonime. Ancora oggi Telethon rappresenta un sistema di riferimento, a dimostrazione che anche nel nostro paese si possono creare cose buone. Ma credo anche che Telethon abbia funzionato bene finora perché a capo dell’organizzazione vi era l’impegno serio di una persona come Susanna Agnelli la quale voleva in tutti i modi che il sistema funzionasse al meglio.