Quei labili confini del testamento biologico

Corrado Augias

Corrado AugiasCaro Augias, mia madre, il primo gennaio del 2005, fu colta da trombosi polmonare. In ospedale fu sottoposta a dosi massicce di eparina. Il fattole provocò subito un’ emorragia cerebrale, per cui andò in coma. I medici mi dissero che non c’ era alcuna speranza. Mi dissero che il protocollo prevedeva che fosse attaccata alle macchine, ma che bastava una mia firma perché ciò non accadesse. Ovviamente firmai. E dopo poche ore mia madre si spense. Erano passati solo due giorni e nemmeno. Mi sembrò una cosa civile.

Ecco perché oggi non capisco tutto questo delirio intorno alla povera Eluana. Perché per mia madre fu tutto molto semplice e umano? Forse perché aveva 82 anni? Quale la differenza? Antonio Sutera Sardo

Non è stata l’età a fare la differenza ma le condizioni in cui l’atto venne eseguito. Ogni giorno nel mondo, Italia compresa, i medici decidono nel senso descritto dal signor Sutera Sardo. È giusto che così sia, quasi nessuno vorrebbe vivere in un paese in cui ciò non avvenisse. I risultati di un recente sondaggio (Osservatorio Scienza e Società) dicono che due terzi degli italiani vorrebbero testamento biologico con il quale «ognuno possa decidere della propria vita», 16 per cento aggiuntivo secondo il quale «la medicina deve sempre rispettare la volontà del paziente». Perché allora centinaia di atti familiari come quelli descritti dal lettore fiorentino sono accolti con favore dalla grande maggioranza mentre la povera Eluana, suo padre Beppino, devono patire da 17 anni il loro calvario? La differenza è nella pubblicità dell’atto, nella sua esemplarità. Come accadde per Piergiorgio Welby sacrificato per anni alla ferocia delle ideologie prima che il suo desiderio fosse accolto da un medico coraggioso e misericordioso. Mi scrive la signora Luciana Pescani:«Una parente di quasi 86 anni fu colpita da paralisi in seguito a grave ictus. Venne ricoverata in ospedale e poi in casa di riposo dove è vissuta per 9 anni. Qualche mese fa una serie di attacchi epilettici ne ha compromesso del tutto le funzioni celebrali. Viene continuamente spostata dalla casa di riposo all’ospedale, si succedono le complicazioni più vari,e da infezioni febbrili: viene monitorata e cura i farmaci ritenuti opportuni, dagli antibiotici agli antiepilettici. Il nutrimento le arriva nello stomaco tramite un tubicino inserito per volontà della dottoressa che ha vinto, con atteggiamento quasi minaccioso, le deboli resistenze dei familiari. Si spera alla fine. Ma vedono questa persona ostaggio della medicina, mi chiedo: a chi giova?». Mi scrive Ugo dell’Arciprete da Roma: «Dicono: alimentazione e idratazione sono forme di sostegno vitale e non possono entrare nel testamento biologico. Ma una medicina salvavita non è anch’essa sostegno vitale? Perché sono libero di decidere che, in caso di stato vegetativo, non voglio una medicina, ma devo tenermi per forza il sondino? Stiamo veramente diventando uno stato di ayatollah, come dice la Bresso?».