Quei giudici in difesa di Vannoni che illudono migliaia di pazienti

La Stampa
Paolo Colonnello

Ciò che il ministero vieta, il giudice autorizza. E un incredibile gioco a rimpiattino, in cui a farne le spese sono come al solito i malati e le loro speranze, quello cui si assiste da quando, il 15 maggio 2012, l’Aifa, la massima autorità italiana di controllo sul farmaco, decide di vietare la pratica di Stamina nell’ospedale Civile di Brescia. Una decisione che arriva dopo un’ispezione dei Nas e del Centro Nazionale Trapianti, un’inchiesta aperta dalla Procura di Torino e la dichiarazione della stessa Aifa che le iniezioni di Stamina sono «pericolose per la salute».

 Ciò nonostante, passano appena tre mesi prima che un giudice, il primo di una lunga serie, scardini con una sentenza di fine agosto il divieto, riaprendo la strada che porta a Brescia. La sentenza, firmata dal giudice del lavoro di Venezia, interviene a seguito di un procedimento cautelare d’urgenza dei genitori di una bambina già sottoposta al metodo e prescrive l’infusione a base di presunte cellule staminali dato «che non esiste allo stato attuale alcuna cura sperimentata idonea a far arrestare e regredire tale malattia, o quantomeno a rallentare il decorso» e quale «cura compassionevole prevista dal decreto ministeriale Turco del 2006». II problema è che il decreto permette si l’uso compassionevole di un trattamento cellulare o genico a patto però che siano rispettati alcuni requisiti fondamentali, autocertificati da chi presenta la richiesta. 
Per esempio: la presenza di dati scientifici pubblicati su riviste autorevoli; la pregressa esperienza di due anni dell’ente o del laboratorio sul preparato che si intende somministrare; l’impiego del trattamento per uso individuale; la presenza di un pericolo di vita e di un consenso informato e di un parere del comitato etico dell’ospedale. Come si è appurato in seguito, non esiste nulla di tutto ciò nel metodo Stamina: non c’è un brevetto, non c’è una pubblicazione, non c’è alcuna esperienza del laboratorio dell’Ospedale di Brescia e non si capisce su che base siano stati sottoposti a dei pazienti dei «consensi informati» da firmare. Ma il giudice si fida lo stesso. E autorizza. E come il crollo di una diga. Subito dopo tocca al giudice del tribunale di Catania imporre il trattamento per una bambina di 18 mesi e quindi a quello di Matera per un bambino di 5 anni. A novembre del 2012, intervengono i giudici dei tribunali di Trento, Marsala e Firenze che autorizzano il trattamento anche per pazienti mai trattati in precedenza. 
Le televisioni martellano (le Iene dedicano al caso una puntata alla settimana per mesi), l’argomento è triste e difficile, ci sono di mezzo dei bambini, il mondo politico tentenna e si contraddice, autorizza e vieta, in fondo i malati e i loro familiari rappresentano un bacino d’utenza pari a due milioni di voti. E poi ci sono i giudici, che ordinano e impongono agli Spedali Civili di Brescia di continuare la controversa terapia, anche se ormai il nuovo commissario straordinario del nosocomio, Ezio Belleri, fa di tutto per opporsi. Tra agosto 2012 e febbraio 2013, sono 12 i tribunali che intervengono, 10 danno pareri favorevoli, due, negano. Ma ad oggi, i ricorsi d’urgenza per ottenere l’accesso alle iniezioni di Stamina, sono stati 450 anche se solo 135 sono stati autorizzati e dal giorno in cui è scattato il divieto, sono già stati almeno 36 i casi trattati. Gli altri sono in una sorta di lista d’attesa, che rischia di allungarsi a dismisura fmché non verrà detta una parola definitiva su questa vicenda. Anche perché la battaglia legale scatenata dai familiari che si sono affidati a Vannoni e auspicata dai suoi blog, ha un costo.
 Altissimo. Calcolando una spesa di circa 5-10 mila euro per causa, gli Spedali Civili di Brescia sarebbero già arrivati a sostenere un costo pari a circa un milione di euro solo per le spese legali. Ma se il nosocomio non si fosse opposto, anziché vedersi autorizzare 135 persone e affrontare costi per 36, avrebbe già dovuto spendere 4 milioni e mezzo di euro per le cure. Calcolati sulla base del costo trattamento che, secondo fonti accreditate dell’ospedale, si aggirerebbe tra gli 8 e i 10 mila euro a paziente. Pagati ovviamente dal Servizio Sanitario nazionale. A tutto ciò vanno aggiunti il costo ordinario del lavoro per il personale impiegato e quello per il laboratorio, che al momento, così viene detto, sono «materia d’indagine». Ma la cosa che colpisce, nei vari provvedimenti dei tribunali, è l’incongruenza che si ricava dalle letture delle motivazioni. Lo stesso giudice di Venezia ordina il trattamento «pur in assenza di evidenza scientifica» e prendendo atto dei «fondati» rilievi dell’Aifa che segnala come il laboratorio degli Spedali Civili dove il materiale biologico viene preparato e manipolato «è assolutamente inadeguato sia dal punto di vista strutturale sia per le cattive condizioni di manutenzione e pulizia». Per tacere del fatto che le manipolazioni sono eseguite, in una struttura pubblica, solo da personale della Sta-mina di Vannoni e che «i medici che iniettano il prodotto nei pazienti non risultano essere a conoscenza della vera natura del materiale biologico somministrato». 
Di più fa il giudice del lavoro di Roma che, pur rilevando l’esistenza dell’inchiesta torinese che vede tra i principali indagati il principale socio di Vannoni, Marino Andolina, basa la sua decisione proprio sull’informativa da lui prodotta che sottolinea come la somministrazione di Stamina avvenga con «il consenso informato del paziente» e che il «medicinale» è stato preparato «in laboratori in possesso dei requisiti di cui all’articolo 2 e comunque nel rispetto dei requisiti di qualità farmaceutica approvati dalle Autorità competenti». Quali, lo sa solo Andolina, visto che, appena un anno prima, la massima autorità farmaceutica italiana ne ha vietato l’uso.