QUATTROCENTO milioni di euro alla ricerca libera delle università del Paese investiti in via competitiva nei bandi per Progetti di ricerca di interesse nazionale, i Prin. Il più grande investimento in ricerca di base degli ultimi vent’anni è stato annunciato domenica a Cernobbio dalla ministra Valeria Fedeli.
Questa scelta è — numeri alla mano — qualcosa di illuminato specie se riferito alla cenerentola degli investimenti: la ricerca di base. So bene che i problemi dell’università e della ricerca hanno altri ordini di grandezza di finanziamento e reclutamento (sul tema leggi anche l’articolo di Federico Binda: CLICCA QUI), ma va riconosciuta l’importanza della decisione.
I Prin sono i principali bandi competitivi del Miur per finanziare la ricerca universitaria in tutte le discipline, da quelle umanistiche a quelle scientifiche.
È bene ricordare che la ricerca di base così finanziata rappresenta la linfa dell’intero sistema della ricerca italiana, il primo strumento affinché gli studiosi — tra essi i piccoli gruppi e pure i più giovani — accumulino i dati preliminari per far crescere le loro idee e poi intercettare in Europa e nel mondo risorse competitive aggiuntive, a beneficio del Paese.
Diversi studi dimostrano che per avere un ritorno significativo dall’investimento economico è necessario diversificare, in modo competitivo, il “portafoglio di teste” sulle quali si investe, vale per la ricerca come per la finanza. È quindi la diversificazione tra le idee e la loro continua messa in competizione a dover essere perseguita perché questo è l’unico modo per premiare quelle migliori con i soldi dei cittadini.
I 400 milioni annunciati ci raccontano anche altro, della capacità di un ministro di individuare 150 milioni nelle pieghe del bilancio e della restituzione — ancorché parziale — di 250 milioni di euro al sistema ricerca del Paese dell’abnorme “tesoretto” accumulato dall’Istituto italiano di tecnologia (Iit ) in 14 anni per evidente sovrafinanziamento, a fronte del quale lo Stato ha continuato e continua a erogare per legge 100 milioni all’anno senza termine. Si tratta di una cifra pari a circa mezzo miliardo di euro accantonata, un tot all’anno, ogni anno, dall’Istituto.
La versione secondo cui si tratta di un mero “risultato di risparmi accumulati nei primi anni di vita dell’Istituto” è stata smentita più volte carte alla mano. Siamo di fronte a tutti gli effetti a una restituzione di denaro pubblico, da anni contabilizzato dallo Stato come “investimento nella ricerca” erogato direttamente dal Ministero delle finanze. La restituzione annunciata rende anche giustizia, come fu per il decreto ministeriale che ha corretto in corsa il progetto Human Technopole, all’iniziativa promossa da coloro che, negli anni, hanno denunciato l’abnormità “scientifico-finanziaria” che si è sviluppata e alimentata senza soluzioni di continuità all’ombra del Mef.
Ministero che, interrogato più volte, tace su quale sia il reale costo per lo Stato del “prestito/erogazione” di “ulteriori” 100 milioni di euro versato a Iit nel 2004 da Cassa depositi e prestiti, quale finanziamento “aggiuntivo” ai finanziamenti “ordinari” i cui oneri —recentemente rinegoziati — sono a totale carico del Mef, quindi dei cittadini.
La ministra Fedeli ha dimostrato che la determinazione politica consente la valorizzazione della ricerca di tutto il Paese. Auspico che anche il ministro dell’Economia e delle finanze che ha ereditato questa vicenda, Pier Carlo Padoan, voglia “restituire conoscenza” ai cittadini.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.