A quattro anni vive col respiratore L’Asl lo liquida: costa troppo

Lucia Esposito Salvatore Ciraolo

SLALa madre di Alex: non gli fanno l’esame per capire che malattia ha

Questa è la storia di Alex, un bimbo che ha quattro anni e una malattia senza nome. Ed è il calvario di Anna, una ragazza madre che vuole solo sapere qual’è il male che tiene il suo piccolino attaccato a dieci macchinari, sospeso tra la vita e la morte.

Per scoprire il gene impazzito basterebbe un esame, la mappa genomica completa, ma attivare una ricerca scientifica per un solo bimbo è troppo caro. E l’Asl non lo fa. «Mi hanno detto che è un costo per la società. Capite? Il mio bambino è un costo, con tutti i soldi che sprecano e che rubano!» Anna Palladino è un guerriero solitario che vuole guardare in faccia il nemico, sapere come si chiama “il mostro” per provare in qualche modo a combatterlo. «Ricordate Welby? Ecco, Alex è come lui. Vive con il respiratore artificiale, muove solo gli occhi. E io non so perché». Se potessi farlo, staccherei con le mie mani la spina del respiratore. Alex morirebbe in cinque secondi. Ma non posso, allora lo Stato mi riconosca almeno il diritto di sapere il mio bimbo che cos’ha. Perché così so contro cosa lottare, magari scopro che in America o chissà dove ci sono ospedali specializzati, sperare che un giorno le sue braccine possano muoversi, o che possa alzare una gamba. E perché se dovessi avere un secondo bimbo, so che malattia cercare quando faccio gli esami prenatali».

Alex è nato il nove gennaio del 2005 a Montebelluna, in provincia di Treviso. Sua madre è uscita dall’ospedale col seno pieno di latte e le mani vuote. «Alex è rimasto dieci giorni in incubatrice. Nessuno mi aveva detto niente. Quando sono andata al nido, ho capito che era diverso dagli altri neonati. Era tutto storto. Avevo fatto l’amniocentesi e diverse ecografie ma nessuno si era accorto di nulla. Se avessi saputo che era tanto malato, avrei certamente abortito. La sua non è vita. Ma anche questo mi è stato negato. Ora quegli stessi camici bianchi che lo hanno condannato a vivere non diagnosticando la sua malattia quando era ancora in pancia, dicono che Alex è un costo per la società e, quindi, mi negano il diritto alla speranza». Alex è tornato a casa dopo due anni e mezzo, la culletta “normale” che Anna aveva scelto per lui è stata sostituita da una in ferro. Anna ha perso il lavoro e fino a pochi mesi fa non riusciva a trovarne un altro «perché nessuno dà un posto a una ragazza madre con un figlio nelle condizioni di Alex. Ora finalmente ne ho trovato uno di tre ore al giorno a venticinque chilometri di distanza da casa. Per fortuna, l’Asl mi manda un infermiere per cinque ore così, almeno, posso andare a lavoro tranquilla». In tutto questo tempo Anna ha assistito il suo bimbo come un’infermiera professionale, ha imparato ad aspirare il catarro ogni quarto d’ora, tutti i giorni, tutte le notti. «Prima puntavo la sveglia, ora ho una specie di orologio interno che mi fa svegliare quando serve». Alex non ha mai detto una parola, ma Anna ha imparato il codice del suo sguardo castano e della sua bocca muta. «Quando si arrabbia, strizza gli occhi. Succede tutte le volte che i figli delle mie amiche prendono i suoi giocattoli; quando invece vuole che gli lavi i denti, li gratta fino a quando non intervengo. Sorride spalancando la bocca quando ascolta le canzoni napoletane e “Sincerità” di Arisa».

In questi quattro anni Anna Palladino ha combattuto da sola contro un nemico sconosciuto. «Lui capisce tutto, ha un’attività cognitiva ma, mi hanno spiegato, è come se avesse addosso un peso di 200 chili. Ad aiutarla contro questo mostro senza nome c’è stata solo sua madre. Poi Anna ha cominciato a urlare la sua storia, a cercare giustizia. Ha incontrato il Meda (il Movimento europeo diversamente abili) e la sua vicenda tristissima è uscita dalle mura della sua casa. «Abbiamo organizzato una serata e raccolto un po` di soldi. Il sindaco le ha promesso una casa a piano terra perché Alex, qualche volta, possa uscire di casa. Anna ha ottenuto una riduzione della tassa sui rifiuti», spiega Maria Riccelli coordinatrice per il Veneto del Meda. Domenica sera “Però basta!!!”, la trasmissione condotta su Sky da Salvatore Ciraolo (che porta in tv storie solitamente ignorate) ha raccontato il dramma di Anna. Lei ha ripetuto: «Devono dare un nome a quel mostro che ha rubato la vita al mio piccolo Alex».