Procreazione assistita, violati in Italia i diritti umani

A maggio abbiamo ricordato i referendum che nel ’74 e ’78 confermarono le leggi che legalizzavano il divorzio e l’aborto, due riforme di civiltà che hanno avuto impatti enormi sulla libertà di scelta degli italiani e in particolare sulla vita e il corpo di milioni di donne. In entrambe le ricorrenze, però, Parlamento e governo non hanno colto l’occasione per far progredire quelle riforme verso un’abbreviazione reale dei tempi per la separazione né per abbattere gli ostacoli che ancora resistono per interrompere una gravidanza in Italia. Quando si parla della libertà come della scienza, questioni centrali alla nostra vita quotidiana, quella politica che si esprime su tutto “abbassa i toni” perché le ritiene “questioni di coscienza” – così facendo non si pone il problema delle leggi e politiche che non ne consentono l’affermazione.

Nei giorni scorsi, il 12 e 13 giugno, è stato invece l’anniversario di un altro referendum: quello che voleva cancellare le norme sulla cosiddetta procreazione medicalmente assistita, la famosa, anzi famigerata, Legge 40. Circa l’80 per cento di chi nel 2005 si espresse su quei quesiti affermò la propria contrarietà alla legge: ma una massiccia campagna di boicottaggio, promossa in particolare dal Vaticano, fece sì che solo un quarto degli aventi diritto andasse a votare. Le motivazioni che spinsero alla presentazione dei quattro referendum derivavano da due tipi di analisi: la contrarietà a ideologiche proibizioni all’accesso a tecniche di fecondazione assistita, tra l’altro in un Paese che all’epoca era all’avanguardia nel settore, e la preoccupazione di colpire mortalmente la ricerca sulle cellule staminali embrionali, una delle più promettenti attività nel campo biomedico. Più che soffermarsi su concetti come “concepimento” o sui tempi di sviluppo della blastocisti in embrione, occorreva affermare principi relativi a libertà di scelte informate e confortate dal progresso scientifico.

Quelle preoccupazioni sono state il faro di tutte le attività che da allora l’Associazione Luca Coscioni ha promosso e coordinato insieme ad altre organizzazioni, avvocati e giuristi e che negli anni hanno smontato la legge grazie alle decisioni dei tribunali, della Corte Costituzionale e a pronunce della Corte europea sui diritti umani. Grazie alla determinazione e al coraggio di molte coppie si è riusciti a trasformare il desiderio di maternità in iniziativa riformatrice per la “vita” e la “scienza”. Dell’impianto proibizionista della Legge 40 restano però ancora in piedi il divieto di accesso alle tecniche di fecondazione assistita per i single e le coppie dello stesso sesso, quello di gestazione per altri, la revoca del consenso al trasferimento degli embrioni in utero in ogni momento, la donazione degli embrioni non idonei per una gravidanza alla ricerca scientifica e la discriminazione nell’accesso alle tecniche, perché solo alcune di esse sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale e non tutte erogate in tutte le regioni nel pubblico.

L’ultima pronuncia sui limiti imposti dalla Legge 40 è frutto di un anno di studio del Comitato Onu sui diritti economici sociali: «Il diritto alla salute sessuale e riproduttiva comporta un insieme di libertà e diritti che comprendono quello di prendere decisioni e scelte libere e responsabili (…) relative al proprio corpo», si legge nelle osservazioni e raccomandazioni finali del Comitato che denuncia come contraria al diritto internazionale l’interferenza dell’Italia nei confronti di alcune scelte dei suoi cittadini. Se mai ce ne fosse stato bisogno, queste parole dell’Onu confermano la necessità di concentrarsi sulla tutela deì diritti umani violati dalla Legge 40. Sono 15 anni che la politica è sempre distratta da altro, presto torneremo in tribunale per tornare a porla di fronte alle proprie responsabilità.