Procreazione assistita, giudice ordina la diagnosi preimpianto dell’embrione

Il Messaggero

Per la prima volta dall’entrata in vigore della legge 40 sulla fecondazione assistita, un giudice ha riconosciuto il diritto di poter fare la diagnosi preimpianto. Il Tribunale di Cagliari ha autorizzato una coppia, lei malata di talassemia major e lui portatore sano, di eseguire il test all’Ospedale Microcitemico di Cagliari.

Nel 2007, ha spiegato l’avvocato e segretario dell’associazione Coscioni Filomena Gallo nel corso di una conferenza stampa alla Camera, «il Tribunale di Cagliari aveva già autorizzato la diagnosi preimpianto nel settore pubblico, disapplicando le linee guida sulla legge 40 allora vigenti. Questa sentenza è però rimasta ineseguita e si trattava di un pronunciamento a livello interpretativo relativo alla legge 40». Quella appena emanata dallo stesso Tribunale, ha precisato Gallo, è invece «la prima sentenza che entra nel merito della questione: dispone cioè che l’azienda sanitaria locale esegua la diagnosi preimpianto e, qualora non fosse in grado, la sentenza prevede che l’azienda possa ricorrere ad altre strutture sanitarie. Questa è cioè la prima sentenza che impone nel merito di eseguire la tecnica di diagnosi preimpianto». Con tale pronuncia, rileva l’associazione Coscioni, è quindi «ristabilita l’equità dell’accesso alle cure». 
In base alla legge 40, la coppia ricorrente poteva accedere alla procreazione medicalmente assistita perché infertile e, quindi, anche eseguire diagnosi preimpianto per verificare prima dell’impianto in utero se l’embrione era affetto dalla patologia dei genitori. Tuttavia, il laboratorio di citogenetica della struttura pubblica che deve analizzare il campione si rifiuta di analizzare le cellule. La coppia avrebbe potuto rivolgersi ad una struttura privata, i cui costi però si aggirano intorno ai 9000 euro a ciclo, cifra incompatibile con il loro reddito. Pertanto la coppia, assistita dagli avvocati Gallo e Calandrini, si rivolge al Tribunale di Cagliari per chiedere l’esecuzione dell’indagine richiesta alla struttura pubblica e prevista dalla legge 40 art. 14 c. 5.: «Risulta, infatti, del tutto illegittimo – rileva l’associazione – oltre che gravemente lesivo dei diritti costituzionalmente garantiti, il rifiuto della struttura pubblica». 

L’azienda ospedaliera è stata dunque condannata perché viola la legge 40/2004. Nel procedimento sono intervenute le associazioni Cerco un bimbo, L’altra cicogna oltre alla Associazione Luca Coscioni con atto unico.