di Giulia Crivellini, avvocato e membro di Giunta dell’Associazione Luca Coscioni
La parola passa alla Corte, che oggi dovrà esprimersi sulla fondatezza o meno del dubbio di costituzionalità sollevato il 14 febbraio scorso dalla Corte d’assise di Milano nell’ambito del processo a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni che nel 2017 aveva aiutato Dj Fabo a ottenere l’eutanasia in Svizzera (Marco Cappato rischia una pena tra i 5 e i 12 anni di carcere) con i principi di autodeterminazione e di dignità della persona.
Si tratta di un’occasione storica per superare un reato introdotto nell’epoca fascista e per garantire a tutte le persone affette da patologie gravi di ottenere legalmente l’assistenza per morire anche in Italia. Ma quali potrebbero essere gli esiti e le ricadute della decisione? Ecco i quattro scenari possibili.
In primo luogo, la Corte potrebbe dichiarare la causa inammissibile. Tale decisione viene utilizzata dalla Corte costituzionale quando, per una serie di motivi, ad essa è precluso l’esame del merito della questione. Il processo contro Cappato continuerebbe così il suo iter davanti alla Corte d’assise di Milano e la «palla», almeno in termini politici, passerebbe al legislatore, sino ad oggi rimasto silente sul tema dell’eutanasia.
In base a un secondo scenario, la Corte potrebbe rigettare la questione ed escludere la sussistenza del vizio di costituzionalità dell’art. 580 del codice penale. Anche in questo caso la decisione comporterebbe l’immediata prosecuzione del processo contro Marco Cappato dinanzi alla Corte d’assise di Milano, processo che potrà concludersi con una decisione di condanna o di assoluzione, senza che allo stesso tempo si possa però più entrare nella valutazione di costituzionalità della norma.
Seguendo una terza strada, la Corte potrebbe emanare una sentenza interpretativa di rigetto. Si giungerebbe comunque ad una dichiarazione di infondatezza della questione, ma fornendo, allo stesso tempo, una interpretazione della norma idonea a «salvarla» dall’incostituzionalità. La Corte potrebbe allora esortare i giudici di Milano a interpretare il reato di aiuto al suicidio in maniera conforme alla Costituzione, escludendo dall’area di punibilità penale le condotte di coloro che non hanno né determinato né rafforzato l’altrui proposito suicidario, ma che hanno prestato un aiuto nella realizzazione dell’altrui diritto di autodeterminazione.
Infine un quarto scenario potrebbe condurre a una sentenza di accoglimento, con la quale la Corte dichiara che una norma è in contrasto con la Costituzione e sancisce il conseguente obbligo per tutti i giudici di disapplicarla. Quest’ultimo sarebbe lo scenario maggiormente auspicabile, perché in tal modo il divieto di istigazione e aiuto al suicidio rimarrebbe nel nostro ordinamento, ma nel caso di aiuto alla persona capace e determinata, in cui la condotta agevolatrice è solo accessoria alla volontà della persona, non sarebbe configurabile alcun reato.
Qualunque sarà l’epilogo della vicenda, la pronuncia della Corte segnerà una pietra miliare nel dibattito intorno al fine vita. Quel che è certo è che, anche nel caso in cui la questione venga rigettata, l’azione politica e giuridica per il riconoscimento del diritto di ciascuno di vivere libero fino alla fine proseguirà dal giorno successivo, più forte e convinta di prima.
Nata a Milano il 31 maggio 1988. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza con una tesi in diritto penale comparato, diventa avvocato a Roma, dove vive e lavora. Appassionata di diritto, fa parte della Conferenza dei Giovani Avvocati, cui accede a seguito di concorso. È membro di Giunta dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e membro di direzione di Radicali Italiani. Scrive su Strade online.