Processo alla pillola

L’ Espresso
Letizia Gabaglio

La pillola è sotto attacco. Il farmaco che ha rivoluzionato la vita delle donne e che ha inciso più di ogni altro sulle dinamiche sociali degli ultimi decenni, è da qualche settimana sotto processo. E le accuse sono gravi. L’ultima è quella che l’agenzia francese di controllo sui farmaci (Ansm) ha mosso contro Diane-35 e le sue omologhe generiche: sospese le vendite perché potrebbe essere collegata alla morte di quattro donne. Diane, si dirà, è una vecchia pillola e ormai è utilizzata più per combattere l’acne che non per evitare le gravidanze. Ma nell’occhio di un ciclone hen più potente c’è un prodotto di ultima generazione, una famiglia di pillole a base di drospirenone e etinilestradiolo, accusate di poter causare embolie venose anche molto gravi. Anche se gli studi scientifici, come vedremo, dimostrano che i rischi sono davvero bassi, a Treviso si sta preparando la prima class action italiana contro la Bayer che la produce. E in Francia le autorità sanitarie si sono già mosse allertando le consumatrici. A iniziare il fuoco di fila contro l’anticoncezionale è stata Marion Larat: 25 anni, studentessa di Bordeaux, invalida al 65 per cento in seguito a una grave tromboembolia che l’ha colpita dopo pochi mesi che assumeva una pillola di ultima generazione, a base di drospirenone e etinilestradiolo. La giovane donna ha deciso di fare causa alla farmaceutica che la produce, di nuovo la Bayer. E l’eco mediatica della sua storia ha indotto il ministero della Salute francese a mettere sull’avviso pazienti e medici:  rispetto a quelle di ultima generazione, devono essere preferite le pillole più vecchie, meno pericolose. Finché non se ne sappia di più, e per questo i francesi hanno chiesto all’Ema (l’ente europeo che controlla i farmaci) di indagare, ma la risposta è per ora prudente: il rischio che corre chi assume questi farmaci secondo le indicazioni è minimo a fronte del beneficio. Non ci crede, però, un gruppo di donne di Treviso. « Attraverso l’associazione Salute Diritto, stiamo raccogliendo decine di casi clinici e i pareri degli esperti da portare davanti al giudice”, conferma Sergio Calvetti, dello studio Calvetti&Partners al lavoro per portare in tribunale la prima class action italiana: «Vogliamo dimostrare come anche in Italia ci sia stata una cattiva informazione da parte delle case farmaceutiche che producono giiecre pillole,. che ha indotto molte donne a ritenere di assumere un farmaco sostanzialmente innocuo. Nel mondo, di cause analoghe ne sono state intentate già circa 12 mila, di queste circa 1.900 sono arrivate a un patteggiamento e l’azienda finora ha sborsato più di 400 milioni di dollari. Le pazienti, in prevalenza americane, accusano le pillole a base di drosperinone di aver causato loro trombosi venose e arteriose, embolie polmonari, ictus e infarto. F. vincono perché convincono i giudici che l’azienda che le produce non ha esposto chiaramente i rischi. Sotto accusa sono gli slogan con cui i contraccettivi orali sbarcati sul mercato negli ultimi anni sono stati proposti ai medici e quindi alle pazienti: la pillola leggera”, “niente ritenzione idrica o cellulite”, “mai più pesantezza”, e così via. «Non vogliamo arrivare a discutere i singoli casi per analizzare il nesso di causa-effetto fra l’assunzione della pillola e l’evento vascolare, ma dimostrare che la casa produttrice non ha evidenziato in maniera sufficiente ai medici, e quindi alle pazienti, quali fossero i rischi., spiega Calvetti. Insomma, l’accusa alla Bayer è quella di avere fatto una comunicazione tutta al positivo, che evita di sottolineare quello che alcuni studi clinici hanno dimostrato ormai da tempo: rispetto a quelle di generazione precedente, le pillole più nuove hanno un rischio superiore di causare tromboembolismo venoso (Tev), cioè l’occlusione di un vaso in un qualsiasi distretto dell’organismo. Il che non significa che questo accada sempre, ma solo che i medici devono saperlo per valutare bene lo stato di salute delle pazienti e decidere se prescrivere o meno il farmaco. «In realtà non tutti gli studi svolti sono concordi, molto dipende da come vengono condotti, sottolinea Franca Fruzzetti, dirigente medico della Clinica Ostetrica e Ginecologica Universitaria, Ospedale S. Chiara, Università di Pisa, che ha da poco curato un dossier scientifico su questo tema: «In ogni caso il tromboembolismo è raramente mortale e il rischio che si corre prendendo la pillola è molto basso, molto inferiore a quello che corrono tutte le donne che rimangono incinta. Il rischio aumenta di solito con l’età e gli eventi avversi oscillano tra lo 0,5 e i 5 ogni 10 mila donne. Con le pillole di seconda generazione si sale a 2 ogni 10 mila donne, con la terza e quarta generazione a 4 su 10 mila. Ma la gravidanza fa salire l’incidenza ancora di più: 6 donne gravide ogni 10 mila. «Quando parliamo degli effetti della pillola non possiamo dimenticare quelli positivi e cioè la diminuzione netta del rischio di ammalarsi di tumore dell’ovaio, una patologia molto più grave della trombo-embolia venosa’, conclude la ginecologa. Non solo. Ma la letteratura scientifica parla anche di riduzione del rischio di tumore al colon e all’endometrio. Insomma, come per qualsiasi medicinale, prima di decidere di assumere la pillola bisognerebbe mettere sui piatti della bilancia rischi e benefici. O almeno leggere il foglietto illustrativo dove, a seguito di un monito delle agenzie regolatorie americana ed europea, oggi il rischio di eventi avversi vascolari è molto ben descritto. «Rispetto a quelle di generazione precedente, per esempio, quelle nuove hanno un rischio di causare tromboembolismo arterioso, quello che porta a infarto per intenderci, molto inferiore. Da questo punto di vista si tratta di un miglioramento», dice Fruzzetti. In Italia la rete Nazionale di Farmacovigilanza ha registrato, nel triennio 2010-2012, 83 sospette reazioni avverse all’assunzione di contraccettivi contenenti desogestrel e gestodene, e 86 a quelli contenenti drospirenone e nomegestrolo. Nessuna fatale, tutte “attese”, ovvero già associate da tempo all’uso di questi medicinali. Totale: 169 casi su una popolazione di utilizzatrici che l’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, stima di circa 2 milioni all’anno. Calcolatrice alla mano, considerando i tre anni di valutazione, lo 0,028 per cento delle donne italiane che ha assunto queste pillole ha avuto una reazione sospetta. Ovvero, suggerisce l’Aifa: «Solo da una successiva analisi di tali segnalazioni si può studiare l’eventuale associazione dell’effetto avverso segnalato, attribuendo a tale evento una probabile correlazione con l’uso del medicinale o meno ».11 che, fuori dal medichese, significa che le donne hanno segnalato sì i malasseri definiti “sospetti”, ma che non è detto che essi siano attribuibili direttamente al farmaco, e non ad altre cause. In ogni caso, ciò che conta davvero è quanto sottolinea Fruzzetti: «Ogni farmaco ha il suo profilo che va valutato insieme alla paziente. Le donne in sovrappeso, che fumano, che hanno problemi cardiovascolari non possono assumere questi farmaci. Deve essere chiaro non solo ai medici, ma anche alle donne. Non si può pretendere dal medico una pillola che non faccia ingrassa- I peccati di Diano re, che non aumenti la cellulite o semplicemente non appesantisca il fegato, se si conduce uno stile di vita insano o si hanno dei problemi di salute. ll gioco, in questi casi, non vale la candela. Ma per decidere le pazienti dovrebbero poter parlare a lungo con il proprio medico, di base o specialista che sia, dell’importanza di una corretta contraccezione. Un specie di miraggio in Italia, dove meno del 50 per cento delle donne fra i 15 e i 49 anni usa un metodo anticoncezionale, meno di quello che succede in Tunisia, Egitto o Sud Africa. E dove gli esperti ritengono valgano i risultati di uno studio, pubblicato sulla rivista “Contraception” c condotto in Germania, Francia, Gran Bretagna, Svezia e Romania: solo il 2 per cento delle donne dichiara di sapere come funziona veramente la pillola, come dimostra un’indagine. Una consapevolezza assai scarsa, diffusa nelle donne di ogni estrazione socio-culturale. E allora, forse, si potrebbe proprio cominciare da qui: chi prende un farmaco così serio da alterare in maniera pesante i ritmi ormonali, anche se per una buona causa, deve sapere che non è una pasticca di zucchero, deve conoscerne i potenziali rischi e pretendere che il medico lo prescriva dopo un’attenta valutazione clinica.