Il popolo dei diritti civili negati “Noi dimenticati dalla politica”

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Dalla cittadinanza al fine vita, le storie degli italiani che aspettano le riforme. I tempi stretti in Parlamento e le divisioni ritardano l’approvazione. Fino a quando? Nell’articolo anche l’intervista a Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni.

Ius soli, testamento biologico, cannabis, cognome della madre, norme anti-omofobia. Sono alcune delle riforme che rischiano di non vedere la luce prima della fine della legislatura. Camera e Senato riaprono il 12 settembre, ma l’agenda parlamentare autunnale sarà monopolizzata da legge di stabilità e riforma elettorale. Poi ci saranno le vacanze di Natale e verosimilmente a metà febbraio il Capo dello Stato scioglierà le Camere per le elezioni. I diritti civili avrebbero potuto essere il tratto distintivo di questa legislatura, ma solo alcune leggi sono andate in porto. La riforma più controversa resta quella dello Ius soli. Renzi ha ammesso che sarà difficile approvarlo prima delle elezioni. «Bravo Matteo», gioiscono i centristi di Ap, che a giugno avevano indotto Gentiloni allo stop. Pisapia pert, insiste: «Bisogna votarlo». E, mentre la politica discute, ai cittadini non resta altro da fare che continuare ad aspettare l’approvazione delle leggi sui diritti civili. Ecco le loro storie.

lus soli In casa sono tutti italiani tranne me». Ayoub Moussaid è arrivato in Italia dal Marocco a 16 anni e suo padre ha ottenuto la cittadinanza quando lui era già maggiorenne, quindi il risultato è che i suoi fratelli sono italiani, lui no. Adesso Ayoub di anni ne ha 30, vive a Fossano, in provincia di Cuneo, è un musulmano «non integralista», parole sue, ha un diploma da geometra e fa un mestiere curioso: è sessatore di pulcini, insomma è lui che, quando escono dall’uovo, verifica se sono futuri polli o future galline. «Uno dei dieci lavori più strani al mondo, l’ho letto su Internet», ride. Parla un italiano perfetto, fa teatro da dieci anni e adesso lo insegna pure ai ragazzini di una parrocchia di Cuneo. È stato presidente della Consulta alle politiche giovanili di Bra e prima faceva pure «clownterapia» per i bambini malati. Insomma, un ragazzo italiano come tanti, il lavoro, il volontariato, «solo che ho il passaporto marocchino. Curioso, no? Potrei votare in Marocco, dove non so nulla della situazione politica. Non posso farlo in Italia, dove invece mi interesserebbe». All’approvazione dello Ius soli, ormai, non crede più. «E chiaro che sui nostri diritti si sta giocando una partita politica. Ma noi abitiamo qui, studiamo qui, lavoriamo qui. Io sono un italiano, mi sento italiano. Quel che vorrei si capisse è che le persone come me non chiedono che si faccia loro una concessione, ma semplicemente di venir riconosciuti per quello che siamo: italiani».

Biotestamento Sa quanti testamenti  biologici ci sono arrivati? Quindicimila. E 120 Comuni hanno già istituito il relativo registro. Un recente sondaggio indica che il 67% degli italiani è favorevole alla legge sul fine vita. Del resto, l’Italia e l’Irlanda sono gli unici due Paesi della Ue che ancora non l’hanno». Parole e cifre di Filomena Gallo, segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. Qui la storia delle persone che aspettano la legge è particolarmente doloroso. «Sono vicende come quello della ragazzina in coma a Venezia da dodici anni di cui hanno scritto i giornali. O il piccolo Charlie, per citare gli ultimi casi che hanno fatto discutere». Eppure la legge è ferma al Senato, dopo l’approvazione a larghissima maggioranza alla Camera. «Il testo è in Commissione ed è chiaro che c’è chi sta facendo di tutto per rallentarlo. Le audizioni previste sono il triplo di quelle effettuata alla Camera, gli emendamenti più di 3 mila. È chiaro che, se le cose resteranno così, la legge non sarà mai approvata prima della fine della legislatura». Ma c’è un ma. «Il testo potrebbe arrivare in Aula senza relatore. Questo farebbe decadere gli emendamenti. E allora il tempo per approvarlo ci sarebbe. Certo, ci vuole la volontà, in primo luogo del Pd. Serve coraggio da parte di una politica che rimanda tutto ai giudici salvo poi lamentarsi di esserne espropriata. Ma gli italiani, e soprattutto quelli prigionieri senza speranze in un letto, chiedono soltanto di poter scegliere».

Cognome della madre La legge sul doppio cognome per i figli, approvata 4 dalla Camera, è spiaggiata al Senato da tre anni. Una coppia di Genova, lei, Manuela Magalhaes, brasiliana, lui, Marcello Galli, italiano, la battaglia l’ha già vinta. Sono arrivati fino alla Corte costituzionale che ha sentenziato che è anticostituzionale negare il diritto ai coniugi di imporre al bambino, dalla nascita, entrambi i cognomi. «Del resto – spiega Magalhaes – mio figlio li avrebbe avuti in Brasile, dove questo diritto esiste, e non in Italia. Per noi è stata una battaglia di principi, conforme ai nostri ideali di una famiglia dove padre e madre sono su piano di parità. E il doppio cognome è un simbolo importante». Intanto, come al solito in Italia, il legislatore è in ritardo sul Norme anti-omofobia giudice. Dice Magalhaes: «Credo cha la legge sia importantissima, anche se mi auguro che sia rivista rispetto a com’è uscita dalla Camera». «Non è solo un diritto dei genitori, ma anche del bambino – chiosa l’avvocato Susanna Schivo, che ha seguito il lungo percorso giudiziario – La legge ci vuole perché la sentenza della Consulta è certo già applicabile, ma è l’intera materia che va disciplinata. E in atto una rivoluzione culturale e bisogna prenderne atto. Sempre più donne vogliono che la loro genitorialità sia riconosciuta anche a livello sociale, sempre più uomini sono consapevoli che si tratta di un processo utile per tutti. Non so se le coppie interessate siano tante, ma di certo sono in crescita».

Norme anti- omofobia ” E’ necessario approvare una legge per tutelare una minoranza discriminata come la nostra. Sarebbe un segnale di modernità per un Paese che solo recentemente ha approvato le Unioni civili». Stefano Sechi, 24 anni, è il ragazzo torinese aggredito da due coetanei perché omosessuale su un pullman al ritorno da una serata in discoteca. Dopo quella violenza di tre anni fa, ha fondato Wequal, associazione che si batte contro la discriminazione Igbt con cui ha girato l’Italia per sensibilizzare i giovani sull’urgenza di una norma contro queste aggressioni. «Attacchi di questo tipo hanno sempre delle conseguenze psicologiche. Il pestaggio che ho subito su quel bus è stato un atto di odio ingiustificato. Quei pugni e quegli insulti, mi hanno ferito nel profondo: hanno colpito la definizione di me stesso». Con la sua onlus ha lanciato una raccolta firme sul web per spingere una proposta di legge anti-omofobia. «Una petizione on-line, che ha raccolto migliaia di adesioni in pochi giorni a significare quanto la società civile sia più avanti della politica», aggiunge Sechi. Una proposta che, però, rischierebbe di rimanere in coda nelle altre «leggi di civiltà» che giacciono ferme nei meandri del Parlamento. Come un’altra legge contro l’omofobia che ha mosso i primi passi esattamente quattro anni fa. «Per l’omofobia ci vogliono pene sicure – chiosa Sechi -. Perché in molti casi le aggressioni non sono fisiche, ma rischiano di essere ancora più violente»