Pillola abortiva, non confondiamo scienza e politica

di CORRADO SINIGAGLIA
La scelta della Regione Liguria di ammettere l’interruzione di gravidanza farmacologia tramite la pillola Ru 486 ha scatenato proteste soprattutto da parte di chi vede in essa l’ennesimo attentato alla vita.

Come nei referendum sulla procreazione assistita e sull’impiego nella ricerca delle cellule staminali embrionali, ci troviamo di fronte a, muro contro muro in cui viene inevitabilmente messo in discussione il ruolo della scienza e il suo rapporto con la politica. Prova ne sia che oggi, come allora, le parti in causa non mancano di elencare i dati a loro sostegno e di arruolare gli scienziati che meglio le rappresentano.

Ma è questo un uso corretto e responsabile dell’informazione scientifica? In che misura essa può e deve influenzare le nostre decisioni? Nelle sue “Lezioni italiane”(tenute di recente all’Università degli studi di Milano e ora raccolte nel volume “Scienza e politica. La lotta per il consenso”, edito da Laterza), Roger Pielke, , esperto di questioni ambientali e di problemi connessi alle procedure decisionali, ha sottolineato come la stragrande maggioranza delle strategie politiche venga elaborata «in stato di incertezza e in situazioni di profondo dissenso sui valori» e finisca per incoraggiare la «politicizzazione dell’informazione» in vista di risultati immediati. . Per evitare che ciò accada non basta appellarsi all’indipendenza della ricerca o invocare una qualsivoglia forma di controllo in nome di una costellazione di valori, peraltro non necessariamente condivisa.

Occorre, piuttosto, cominciare a distinguere tra la sfera della politics, che riguarda la capacità di creare consenso intorno a determinati valori, e quella – della polìcy, che investe le concrete strategie d’azione, una volta che siano chiariti gli obiettivi comuni. Più questi piani vengono confusi, più scienza e politica tendono a porsi l’una al servizio dell’altra,in una sorta di circolo vizioso che spesso un è veicolo di prevaricazioni e intolleranze e che sul lungo periodo si traduce in un danno reciproco: . per la politica, poiché le strategie decisionali vengono piegate a istanze puramente ideologiche: per la scienza, poiché i vari settori di ricerca vengono premiati non in base alle loro effettive potenzialità, ma alla loro utilità per questo o quel partito.

Nessun fautore della sacralità della vita potrà essere costretto a rinunciare alle proprie convinzioni in virtù dell’efficacia delle tecniche di fecondazione artificiale o dei possibili successi degli studi sugli embrioni soprannumerari; ma lo stesso va riconosciuto per chi la pensa diversamente. La posta in gioco non riguarda qui la fattibilità delle opzioni in campo, bensì la loro liceità. Quest’ultima non può essere imposta, ma deve essere oggetto di libero confronto e di negoziazione democratica.

Diversa è la situazione in cui i meccanismi di consenso hanno funzionato fino a produrre una legge (come la 194) e il dibattito si è spostato sulle forme di attuazione. In questo caso l’informazione scientifica rappresenta una i risorsa essenziale, e la sua funzione non è quella di vincolare le nostre scelte, bensì di allargare l’orizzonte delle possibili alternative, di pesarne costi e benefici, ben sapendo che ogni nostra valutazione è legata alle informazioni di cui disponiamo, e che dobbiamo pertanto essere pronti a rivedere le nostre posizioni qualora nuovi dati ci spingano a farlo.

È appunto in questa forma che si dovrebbe discutere dell’uso della pillola Ru 486: “scomunicare” amministratori e medici con l’accusa di rendere facile e banale una pratica (l’aborto) che di per se costituirebbe un male significa equivocare i termini del problema, spacciando per questione di “corretta” applicazione quello che invece è u autentico conflitto di valori.

Sarebbe allora più coerente e onesto dichiarare apertamente il proprio dissenso sulla legge 194 in sé e lottare perché le proprie istanze vengano democraticamente riconosciute, col rischio, però, che altrettanto democratica mente vengano battute.

Occorre sapersi assumere fin in fondo le proprie responsabilità, affidandosi al libero gioco di una democrazia fatta di soggetti maturi, capaci di decidere autonomamente, come auspicavano quei vecchi maestri, a cominciare da Immanuel Kant, che un pensiero fin troppo timoroso delle conquiste della razionalità scientifica vorrebbe sbrigativamente liquidare. Altrimenti si dà l’impressione che dietro alte parole si celi una paura mai sopita, quella nota come paura della libertà.