Piergiorgio Welby sei anni dopo

L’Unità
Paolo Izzo

Il 20 dicembre 2006 moriva il poeta e pittore politico Piergiorgio Welby e, a sei anni di distanza, la sua compagna di vita Mina e i suoi compagni di lotta, i Radicali, hanno depositato in Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare che prevedrebbe «l`obbligo del rispetto della volontà del paziente e la depenalizzazione di eutanasia e suicidio assistito, anche mediante testamento biologico». Né il ricordo di Welby, né l`ennesima iniziativa radicale sembrano avere la dignità dell`epitaffio di una notizia. Così possiamo dimenticare anche che, visto che a Welby furono negate le esequie religiose dal cardinale Ruini, una enorme folla si riunì per strada a celebrare il suo funerale laico; che l`allora sindaco di Roma Veltroni quel giorno era impegnato a «benedire» le targhe che intitolavano la stazione Termini a Wojtyla; che il medico di Piergiorgio, Mario Riccio, per quasi un anno rischiò il carcere per averlo sostenuto nella sua volontà di morire. Tante cose si vogliono «annullare»: anche che a Roma in sei anni non è cambiato quasi niente, tranne che la gabbia di illaicità in cui è rinchiusa la capitale – da quando Ratzinger ha cominciato a cinguettare – è diventata una voliera.