“Piergiorgio fu soltanto un caso politico”

di Gaetano Basilici

Mina Welby, lei è la vedova di Piergiorgio: come commenta questa disparità di trattamento coi fatti di Arezzo?

"Mio marito è stato un soggetto politico che ha fatto una battaglia politica, e al quale è stato rinfacciato di avere detto troppo spesso e troppo forte che voleva morire. Dichiarazioni, le sue, che la gerarchia ecclesiastica non gli ha perdonato, anche perché non voleva avallare un suicidio richiesto. La vicenda di questi due poveri ragazzi è terribile".

Resta però il fatto che la Chiesa concede la funzione religiosa a un omicida-suicida.

"Piergiorgio non ha mai voluto fare del male a nessuno. Voleva soltanto il bene per sé. Spero che un giorno la Chiesa chieda scusa di una cosa del genere".

Al di là del rifiuto ufficiale della Chiesa al rito funebre per suo marito, lei ha ricevuto attestati di simpatia e di vicinanza da parte di ambienti ecclesiastici o di singoli religiosi?

"Certo. A me è stato chiesto scusa da don Andrea Gallo di Genova, un prete di strada che sta dalla parte dei più poveri. E anche da don Vinicio, della Comunità di Capodarco, che aveva già scritto a Piergiorgio una bellissima lettera in cui gli diceva di avere compreso la sua volontà di non vivere più in quel modo. Poi ci sono stati tanti altri sacerdoti; tra questi ricordo don Paolo Farinella, un parroco genovese che vive per i suoi fedeli e che ha anche il coraggio di sporcarsi le mani con la politica. Addirittura, ci sono stati numerosi parroci che mi hanno scritto dicendo di avere celebrato una messa per Piergiorgio il giorno del suo funerale. Credo che in Italia per nessun morto siano state dette tante messe quante ne sono state dette per mio marito. Questo per me, che sono credente, è stata una profonda consolazione".

Il caso Welby suscitò un acceso dibattito sull’eutanasia e, più in generale, sui rapporti tra legge ed etica. Se ne discute ancora oggi, per il caso di Eluana Englaro. Si giungerà mai a una soluzione definitiva del dilemma: libertà di morire, sì o no?

"Durante una trasmissione televisiva ho detto che il valore massimo non è la vita, bensì l’uomo. La vita è un talento affidato all’uomo, e molti uomini la sacrificano per salvare quella di un altro. Quindi, ripeto, è l’uomo il massimo valore. Stando così le cose, il rifiuto di un accanimento terapeutico e il rifiuto di andare avanti con terapie considerate inutili dal malato sono più che giusti e leciti. E questo è il principio che sto tentando di difendere. Tra l’altro, nel catechismo c’è un articolo, il 2278, in cui si prevede la rinuncia all’accanimento terapeutico e si accetta di non potere impedire la morte".