Dal 1988 il trapianto allogenico (cioè da un donatore) di cellule staminali del cordone ombelicale ha profondamente cambiato le prospettive di sopravvivenza di migliaia di malati, in prevalenza bambini, ma non solo, colpiti da leucemie e linfomi o da malattie ereditarie, come la talassemia. Questo impiego del trapianto di cellule staminali del sangue cordonale è stato reso possibile, da un lato, da un’organizzazione pubblica efficiente mirata alla raccolta e al congelamento del sangue cordonale, dall’altro, dalla donazione gratuita e altruistica di donne che, volontariamente, decidono di mettere a disposizione, al momento del parto, questa preziosa sorgente di cellule staminali.
Di recente, sono progressivamente emerse, supportate da campagne mediatiche, ma non da un altrettanto adeguato riscontro di solidi dati scientifici, istanze mirate a diffondere una cultura della conservazione per potenziale uso autologo (cioè per sé) del sangue cordonale.
L’uso autologo non è proponibile perla cura di malattie genetiche, essendo, per definizione, le cellule cordonali portatrici dello stesso difetto genetico che caratterizza ogni singola malattia ereditaria. Allo stesso modo, non sarà utile il sangue cordonale autologo se il bambino o, negli anni a seguire, l’adulto, dovesse sviluppare una malattia ematologica tumorale. Al di là di possibili riserve sulla presenza già nel sangue cordonale di cellule neoplastiche, l’uso di sangue proprio non dà corso a quell’effetto immunologico anti-tumorale che compare solamente impiegando cellule di un altro soggetto e che, largamente, contribuisce al successo del trapianto. Qualcuno dirà che la conservazione di sangue cordonale congelato potrebbe, magari, rivelarsi un investimento biologico lungimirante, qualora si dimostrasse in futuro che cellule emopqietiche sono in grado di curare patologie degenerative a carico di altri tessuti (cuore, sistema nervoso).
Ad oggi, però, non vi è alcuna evidenza scientifica che questa prospettiva possa trovare impiego nella pratica clinica.
Alle donne italiane viene oggi offerta la possibilità di una donazione autologo-solidaristica, di conservare cioè il sangue cordonale per il proprio bambino, lasciando, tuttavia, che si renda disponibile per chiunque altro abbia necessità di utilizzarlo per un trapianto, qualora vi siano le condizioni di compatibilità immunogenetica.
Programmi nello specifico sono già stati attivati da Regioni, ad esempio la Lombardia, con particolare sensibilità all’argomento, attraverso percorsi dedicati presso le Banche pubbliche di sangue cordonale. Questo modello ha il grande pregio di non minare alla base quella cultura solidaristica su cui largamente si è fondato il programma di trapianti, non solo di cellule staminali, che tante vite ha salvato nel nostro Paese.
*Università di Pavia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo