Opg, così il Veneto ha voltato pagina.

opg_montelupo.jpg
Avvenire
Nello Scavo

Lo hanno fatto senza clamore. Ma quella dell’azienda sanitaria di Legnago è una rivoluzione. Per la prima volta in Italia è stata aperta una struttura assistenziale che sostituirà i temibili Ospedali psichiatrici giudiziari, quegli Opg che per legge dovrebbero chiudere entro i131 marzo 2013, ma che l’ignavia di certa politica probabilmente costringerà a mantenere aperti ancora per mesi. Nella “Casa Don Girelli” non ci sono letti di costrizione, né sbarre alle finestre. La struttura nasce come progetto sperimentale da una collaborazione tra il dipartimento di Salute mentale dell’Azienda Ulss 21 di Legnago (Verona) e l’associazione don Giuseppe Girelli Casa San Giuseppe-Sesta Opera, di Ronco all’Adige. Una risposta concreta all’invito della Regione Veneto che per prima ha chiesto alle Asl di partecipare alla fase di sperimentazione. La legge, infatti, prevede il trasferimento dall’Amministrazione penitenziaria alle Regioni delle funzioni sanitarie svolte negli Opg. Ogni Regione italiana dovrà farsi carico degli internati negli ospedali giudiziari di provenienza dai propri territori. Quello avviato in Veneto è un progetto di riconversione di un Centro Servizi in cui già venivano accolti ospiti con problemi giudiziari in una struttura comunitaria ad alta specializzazione, per un massimo di 18 persone. Un progetto voluto dal direttore generale Daniela Carraro «nell’ottica del reinserimento nel tessuto sociale di appartenenza del paziente psichiatrico autore di reato – spiega il dottor Tommaso Maniscalco, responsabile del dipartimento di Salute mentale di Legnago -, una volta che il magistrato ha accertato la bassa pericolosità sociale e si pongono quindi le condizioni di fruizione di percorsi alternativi alla restrizione in Opg». I progetti di cura a Casa Don Girelli «durano 24 mesi e sono quindi finalizzati al rientro nella comunità di appartenenza dell’utente al termine del periodo». Gli internati negli Opg originari del Veneto sono 70 e la gran parte di essi, se assistiti come avverrà per i 18 della struttura veronese, potrebbero riguadagnare la libertà. Il progetto è stato approvato e finanziato dalla Regione, che poi potrà attingere a fondi nazionali già resi disponibili dal ministero della Sanità, con 190 mila euro per le attività di avvio. Lo spirito è quello di applicare la psicologia costruendo un percorso lungo il quale l’individuo viene riportato a relazionarsi con il contesto sociale di provenienza. Per questo la struttura veneta punta a coinvolgere il territorio in vista di eventuali inserimenti lavorativi allo scopo dell’ineludibile inclusione sociale degli ex internati. Secondo i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sui “manicomi criminali”, sui circa 1.400 internati nelle sei strutture ancora attive, 441 (pari al 31,7%) sono dimissibili, ma solo in 160 hanno riguadagnato la libertà, mentre per 281 è stata disposta la proroga dell’internamento. Si tratta di persone non più socialmente pericolose e di cui, per legge, dovrebbero farsi carico le Asl, che nella maggior parte dei casi non sono in grado di assistere questi malati.