Nuovo allarme: gli Ogm sono veleni ma lo studio è contestato

Il Venerdì di Repubblica
Alex Saragosa

Con questo titolo, perentorio e allarmante, il 19 settembre Le Nouvel Observateur ha preso una posizione netta, riaccendendo la disputa sulla pericolosità di quegli organismi vegetali al cui Dna sono stati aggiunti geni provenienti da altre specie. Il titolo del settimanale francese si riferiva ai risultati della ricerca di un gruppo dell’Università di Caen, diretto dal biologo molecolare Gilles-Eric Séralini, appena pubblicati da Food and Chemical Toxicology. In questo studio, a onor del vero, non si dice che «tutti gli Ogm sono velenosi». Si sostiene però che il mais Ogm Nk 603 della Monsanto, usato negli Stati Uniti fin dal 2000 anche per l’alimentazione umana, sembra provocare tumori nei ratti. L’Nk 603 contiene un gene batterico che lo rende immune all’effetto di un erbicida, il glifosato, in uso fin dagli anni Settanta e ancora fra i più venduti al mondo, chiamato Roundup nella versione commercializzata dalla Monsanto. Grazie al gene aggiunto, il mais Nk 603 può essere seminato insieme al diserbante e non richiede i 4-5 interventi con altri diserbanti necessari ai mais non Ogm. I test fatti dalla Monsanto, e approvati da enti pubblici americani ed europei, avevano concluso che le varietà Ogm resistenti al Roundup (non solo mais, ma anche soia, barbabietola e colza) sono sicure per la salute umana. Un risultato non contestato dagli ambientalisti, che puntavano invece il dito sul fatto che, come dimostrato di recente da una ricerca condotta da Charles Benbrook, docente di agricoltura sostenibile della Washington State University, l’uso estensivo e sul lungo periodo di questo tipo di Ogm seleziona erbe infestanti resistenti al glifosato, costringendo, prima o poi, a usare più erbicidi. Ma a mettere in dubbio l’innocuità per la salute degli Ogm «Roundup ready», i più venduti al mondo, arriva ora, come si diceva, lo studio francese. Per timore dello spionaggio industriale e scientifico, Séralini e colleghi hanno lavorato per due anni in totale segretezza, vietando discussioni telefoniche e usando solo mail criptate. A loro disposizione avevano duecento ratti, divisi in gruppi di dieci, che nutrivano con mangime contenente mais non 0gm o, in varie concentrazioni, mais Nk 603, Nk603 Roundup, o dosi del solo diserbante. I risultati ce li sintetizza lo stesso Séralini: «Fino ai 14 mesi di vita (il ratto ne vive in media 24), nessun animale del gruppo di controllo mostrava segni di tumore, mentre questi erano già presenti nel 30 per cento delle femmine esposte all’Nk 603 e al diserbante. Ai due anni di vita, i130 per cento dei ratti femmina di controllo aveva sviluppato tumori, ma la cifra saliva al 50 per cento in quelle che avevano mangiato Nk 603 e fino all’80 per cento in quelle esposte al Roundup». Fra i maschi, invece, la crescita dei tumori è stata molto più contenuta, ma sono state rilevate alterazioni ormonali e danni a fegato e reni». Secondo Seralini la differenza di risultati fra il suo studio e quello della Monsanto sull’ Nk 603, si spiega con una parola tempo. La sua ricerca è durata 72.5 giorni, quella Monsanto, come è regola per i test tossicologici, solo 90, troppo poco, dice il ricercatore, per valutare l’insorgenza del cancro. Se i risultati del lavoro francese fossero confermati, per l’industria degli Ogni calerebbe il sipario, cosa che non dispiacerebbe affatto alla Francia, nazione che, come l’Italia, li ha sempre osteggiati. Ma lo studio di Séralini ha suscitato un coro di critiche. Le sintetizza Roberto Defez, biotecnologo dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli. «I ratti usati sono del ceppo Sprague-Dawley, noto per sviluppare spontaneamente tumori: in media 1’81 per cento di loro si ammala di cancro nel corso della vita. Con questa incidenza, è impossibile distinguere le neoplasie casuali da quelle indotte, nei piccoli gruppi usati da Serafini. Basta che le dieci femmine di controllo siano state un po’ più “fortunate” della media, per spiegare perché i tassi di tumore in quelle esposte sembrino così alti». Ma il ricercatore francese ribatte: «Ho usato lo stesso numero e tipo di ratti impiegati dalla Monsanto nel suo studio di convalida dell’Nk 603». Michael Hansen, ricercatore del gruppo americano non profit Consumer Union, prova a mediare: «E vero che i gruppi usati sono troppo piccoli per arrivare a conclusioni definitive ma, se fosse all’opera il solo caso, ogni tanto sarebbe dovuto accadere che nei gruppi di controllo si verificassero più danni che in quelli esposti, e questo, tra le femmine, non è mai successo». È accaduto invece per i maschi: paradossalmente quelli esposti alle dosi maggiori di erbicida hanno avuto una mortalità più bassa di quelli di controllo, come se il Roundup gli avesse fatto bene… «E poi Sèralini non è super partes» attacca Defez (lui stesso non proprio neutrale, visto che coordina il sito pro 0gm Salmone.org) «perché porta avanti da anni una crociata anti Ogm, così come non lo sono i suoi finanziatori, Auchan e Carrefour, catene di supermarket 0gm-free. Già il fatto che i risultati confermino in modo così eclatante le erma be a uno iù con più diversi gill loro convinzioni e i loro interessi suscita dubbi. La pubblicazione dello studio, poi, ha coinciso con l’uscita del libro di Séralini Thus Cobayes? (Tutti cavie? Editore Flammarion) in un vero blitz mediatico». La rivista Nature si tiene fuori dalle polemiche, ricordando che la validità metodologica dello studio è stata comunque approvata da ricercatori indipendenti, prima della sua pubblicazione, e che solo la ripetizione della ricerca da parte di altri potrà dire una parola definitiva. Secondo un gruppo di ricercatori dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia di Roma del Cnr, che si occupano di tossicologia e cancerogenicità, ma preferiscono non comparire per non entrare nella polemica, la ricerca presenta la lodevole novità di aver affrontato il tema degli effetti a lungo termine sulla salute di Ogni ed erbicidi. Ma ha alcuni punti deboli. In particolare l’aver usato solo dieci ratti per gruppo, un quinto del numero utilizzato di solito in tossicologia, ha reso l’influenza del caso sui risultati molto alta, impossibile da quantificare. E al caso si deve forse anche il fatto che non c’è proporzione tra dose ed effetto: spesso a causare i danni maggiori sembrano essere le dosi minime o medie di Nk 603 o Roundup, non le più alte. Seralini lo spiega ipotizzando un effetto di disturbo ormonale da parte sia del diserbante sia dell’enzima che lo distrugge, che inizia a manifestarsi fin da quantità molto basse, ma anche questa ipotesi non spiega i risultati Per capire se questi siano validi, concludono al Cnr, la ricerca andrebbe ripetuta usando più animali, di ceppi diversi, e diversi tipi di mais Ogm. Il governo francese, però, non pare disposto ad attendere e aveva minacciato di bloccare le importazioni di mangimi contenenti l’Nk 603 se l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare non si fosse pronunciata rapidamente sullo studio di Séralini. E l’Efsa si è affrettata a rispondere con un comunicato, diffuso il 4 ottobre: la ricerca non ha sufficienti qualità scientifiche, ha sostenuto, per essere considerata un valido strumento per valutare i livelli di rischio. Basterà alla Francia?