Non è un paese per fecondazione post mortem

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Elle
Federico Capra

In Italia la legge 40 proibisce la pratica in caso di decesso di uno dei due coniugi. Ecco perché, come ci ha confermato l’avvocato Filomena Gallo, il caso di Mariana è impossibile si concretizzi anche nello Stivale.

Non c’è dubbio che Mariana González-Gomez sia un’eroina moderna. Una guerriera che è stata costretta, nonostante i suoi 30 anni, a dover combattere le dure battaglie che le ha riservato la vita. La prima a fianco del marito malato di leucemia, la seconda per ottenere l’autorizzazione all’inseminazione post mortem dopo la prematura scomparsa dell’uomo che aveva sposato e amato. Lei, spagnola, si era a lungo battuta contro le leggi della Francia per poter ricevere lo sperma congelato a Parigi, dove la coppia viveva e aveva deciso di costruire il loro nido d’amore.

Poco tempo
Ora Mariana ha avuto il via libera dal suo Paese. Un via libero dal tempo limitato. La donna ha appena un mese e qualche giorno di tempo per tentare la delicata operazione in Spagna. Infatti quello concesso alla González-Gomez si tratta di un’autorizzazione «eccezionale, contraria alla legge del nostro Paese», ha spiegato Aurélie Bretonneau, relatrice del Consiglio di Stato francese, la nostra Corte costituzionale.in Spagna dove questa pratica è permessa entro un anno dalla morte di uno dei due partner. E pensare che Nicola, così si chiamava il marito della González-Gomez, prima di morire aveva predisposto tutto. In un documento l’uomo aveva sottoscritto un documento per consentire alla moglie di avere un figlio da lui, anche dopo la sua scomparsa. Un’ultima volontà che in Francia non è stata, almeno inizialmente, tenuta in considerazione.

In Italia
E in Italia tutto questo sarebbe possibile? «No, perché nel nostro Paese la legge 40 vieta la fecondazione post mortem»,  LetteraDonna l’avvocato Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni che da tempo si occupa anche di questo argomento. Una situazione che va quindi contro le normative vigenti. Eppure in Italia, in questo senso, qualcosa negli anni passati sembrava essersi mosso. « Soprattutto perché tale tipo di fecondazione avvenute nel nostro Paese erano precedenti alla legge 40 (19 febbraio 2004, che prevede ci sia un consenso informato sottoscritto da entrambi i ricorrenti che devono essere entrambi viventi in ogni fase del ciclo terapico, ndr) ma vi era la preesistenza di embrioni crioconservati, quindi la fecondazione già era avvenuta quando entrambi i coniugi erano in vita». In caso di decesso di uno dei due componenti della coppia, seme e ovuli «non possono più essere donati» ma smaltiti secondo apposite procedure sanitarie.

Tutto fermo
E nonostante diversi Paesi della Comunità europea abbiano dato il via libera a questo tipo di intervento, l’Italia sembra ancora un passo indietro. «Al momento l’unico modo per ottenere una fecondazione post mortem è attraverso l’intervento di un giudice che può stabilire di caso in caso l’adeguatezza della richiesta», ha aggiunto Filomena Gallo. Un esempio è quello della signora Barrillo che «a seguito del decesso della convivente aveva chiesto di poter donare gli embrioni alla ricerca senza poterli donare». Sembra quindi che l’Italia non senta ancora la necessità di creare norme in tal senso come ci ha confermato la stessa Gallo: «Al momento, che io sappia, non esistono proposte di legge a riguardo».