Non solo aborti: 40 anni di diritti nei consultori

Il Fatto Quotidiano
Caterina Minnucci

Ogni giorno nelle 2.152 strutture in Italia, medici, psicologi e altri operatori da 40 anni lavorano per difendere il più importante traguardo culturale prodotto dalla stagione delle lotte degli Anni 70: i consultori familiari.

Accanto al portone di via dei Sabelli 100, nel quartiere romano di San Lorenzo, c’è una mattonella che ritrae il volto di Simonetta Tosi, il medico che qui nel 1974 aprì un consultorio autogestito. Un anno dopo, con la legge quadro n.405 del 29 luglio 1975 il Parlamento istituì i consultori familiari. Sono ancora oggi un punto di riferimento irrinunciabile nella struttura socio-sanitaria del Paese, un percorso unico in Europa che unisce le necessità sanitarie a quelle sociali.

“Una garanzia del diritto di ognuno al benessere psico-fisico, e i dati ci dimostrano che non è vero che investire in campo sanitario è solo un costo – spiega al Fatto Salvatore Carluccio, presidente di Mondoconsumatori -. Quello che viene avvertito come una perdita nei bilanci della Sanità permette un ritorno triplo in termini di qualità della vita e di risparmio sulla diagnostica e sull’uso dei farmaci”. Prevenire è meglio che curare.

Francesca, 35 anni, quando è rimasta incinta, dopo la prima visita da un ginecologo privato ha deciso “che avere un bambino non poteva voler dire aver firmato una cambiale”. Così, nonostante un buon contratto di lavoro, che le avrebbe permesso di proseguire con l’iter a pagamento, non ha avuto dubbi: “Sono andata in con-sultorioe se avrò un altrobambino rifarò la stessa scelta. A volte pagare non significa avere un servizio migliore. Io voto per il servizio pubblico: ancora oggi porto la mia bimba per il controllo del peso e ogni volta è come essere in una grande famiglia”.

Al nuovo consultorio di San Lorenzo, a Roma, Antonella Turi lavora come puericultrice: “Certi giorni non riusciamo a riprendere fiato, il telefono squilla in continuazione. Ogni paziente porta qui la sua storia, alcune sono un pugno nello stomaco”. Nella struttura c’è una particolare attenzione alla consulenza sull’interruzione volontaria di gravidanza, al supporto psicologico successivo e all’educazione sessuale: “Quando arriva un’adolescente che chiede la pillola abortiva, il nostro lavoro non finisce con la prescrizione: iniziamo un percorso che le permetta di ricevere gli strumenti per affrontare la sessualità in modo sano – spiega l’operatrice -. Una soluzione d’emergenza che deve essere accompagnata da un percorso educativo”.

Stesso approccio con le donne che decidono di effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza: “Per evitare il rischio di un aborto ripetuto o eventuali complicanze successive ci impegniamo a prenderle in carico, anche in coppia”. A riguardo il professor Marco Sani, autore del libro “Il consultorio familiare… quarant’annidopo” ha monitorato anche l’interazione con la realtà multietnica del Paese.

I dati del 2012 sull’attività dei consultori per l’IVG fanno registrare 107.192 casi con un calo del 56,3% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, 234.801 casi. “E’ il segnale che la stagione delle leggi degli Anni 70 ha contribuito alla crescita culturale del Paese, un patrimonio che gli amministratori di oggi hanno il dovere di tutelare – spiega il dottor Sani -. Per quanto riguarda le donne straniere l’aborto spesso rappresenta il mezzo normalmente usato per il controllo delle nascite, tanto che l’abortività volontaria ripetuta è statisticamente elevata”.

L’urgenza è quasi sempre la modalità con cui questo tipo di utenza si rivolge al servizio, lontana da un’ottica di prevenzione. Nel quartiere di San Giovanni, sempre nella Capitale, c’è un consultorio interno al centro di accoglienza per migranti: lì le donne si sentono in un ambiente più protetto e con l’aiuto dei mediatori culturali è stato avviato un programma di protezione.

Non solo donne: Maurizio, 48 anni, è separato. Al centro “La Scarpetta” di Trastevere con l’aiuto della psicologa lui e sua moglie hanno smesso di tirarsi i piatti davanti ai bambini: “Grazie alla mediazione familiare abbiamo vissuto la separazione come un momento di crescita”.