Mortale danza di Huntington

Il Sole 24 Ore
Gilberto Corbellini

Esattamentevent’anni fa veniva raggiunto uno dei traguardi scientifici più importanti nella storia della genetica umana e medica: l’identificazione, grazie all’imponente sforzo coordinato di 58 ricercatori suddivisi in 6 gruppi, del gene che quando si presenta con particolari varianti, cioè ripetizioni eccessive di una specifica tripletta di nucleotidi, causa la còrea di Huntington. Che è una malattia neurodegenerativa rara ma devastante e letale, la cui insorgenza ha luogo prevalentemente (ma non esclusivamente) in età adulta, mediamente intorno a 35 anni, e si manifesta con movimenti involontari anomali e scoordinati (da cui còrea, che significa danza), progressivo declino delle capacità cognitive e disturbi della personalità e dell’umore. Il gene codifica una proteina, l’huntingtina, che nella forma normale concorre a numerose funzioni biochimiche e cellulari del tessuto nervoso, mentre nelle forme alterate è tossica per i neuroni del nucleo striato: una struttura del cervello cruciale per la modulazione dei movimenti e processi cognitivi che sono fondamentali, come la memoria operativa, per le cosiddette «funzioni esecutive». L’isolamento del gene faceva seguito a un’altra tappa storica per la genetica, che nel 1983 aveva visto già protagonista la ricerca sulla còrea di Huntington: in quell’anno, grazie alla collaborazione tra Nancy Wexler, David Housman e James Gusella il gene implicato nella malattia era il primo a essere mappato su un cromosoma umano sfruttando i polimorfismi del Dna, le tecniche dell’ingegneria genetica e il genoma di una popolazione venezuelana con un’elevatissima incidenza della malattia. Il convegno organizzato alla Bicocca di Milano sul «pensiero sociale» generatosi a partire dalle sfide culturali generate dalla malattia di Huntington è un’occasione per riflettere sul cammino fatto, su come è cambiata la percezione e gestione della malattia e sulle prospettive della ricerca e dei supporti socio-psicologici per alleviare le sofferenze che essa trascina con sé. La còrea di Huntington, porta il nome di un medico statunitense, George Huntington, che nel 1872 descriveva in modo preciso la clinica e la natura ereditaria della Nd 1983 il gene della malattia fu il primo a essere mappato su un cromosoma umano grazie anche all’utilizzo del genoma di una popolazione venezuelana malattia, che si trasmette in forma autosomica dominante, per cui i portatori del gene mutato patogenicamente si ammalano e i figli hanno un rischio del5o% di ereditare il gene. Prima dello studio che Huntington condusse su alcuni casi ricorrenti in famiglie di East Hampton (Long Island), usando anche le descrizioni del padre e del nonno, medici anch’essi, che risalivano fino al 1797, questa malattia si osserva raramente. La breve durata della vita non ne consentiva infatti sempre l’esordio. Chiperò arrivava ad ammalarsi era oggetto spesso di persecuzioni. Le donne erano accusate di stregoneria peri disturbi di personalità e i movimenti coreici, mentre gli uomini erano stereotipizzati come dediti alla violenza, all’alcolismo e alla follia. Conseguenze tragiche dell’ignoranza e delle credenze superstiziose delle culture locali premoderne, peraltro ancora così amate dagli intellettuali snob occidentali. Data l’evidente natura ereditaria e le manifestazioni neuromotorie e psichiatriche, la malattia divenne una sorta di malattia modello per giustificare e pianificare le legislazioni eugeniche, che imponevano la sterilizzazione obbligatoria dei portatori. La condizione era specificamente indicata per applicare la legge nazista del 1933, che prevedeva la sterilizzazione forzata «per la prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie». Ma anche negli Stati Uniti democratici gli eugenisti predicavano la sterilizzazione per sradicare la malattia. L’atteggiamento fatalista e stigmatizzante ha persistito, oltre che nella società, anche nel mondo medico ben dopo la liquidazione delle dottrine eugeniche e razziste. Che cosa ha dato speranza e valorizzato socialmente i malati e i loro problemi, promuovendo le condizioni che hanno progressivamente messo questa malattia al centro dell’interesse dei ricercatori e della politica sanitaria in occidente? Forse si può rispondere sinteticamente: la famiglia Wexler. Milton Wexler, psicoanalista californiano morto nel 2007 quasi centenario, creò nel 1967, dopo la straziante morte della moglie colpita dall’Huntington, la Hereditary Disease Foundation. Con l’aiuto delle giovani figlie Nancy e Alice, entrambe a rischio di aver ereditato il gene malato, hanno arruolato influenti scienziati e generosi benefattori, con lo scopo di promuovere la ricerca scientifica su questa malattia. La fondazione dei Wexler ha spinto con successo perché il governo statunitense finanziasse nel 1979 il progetto della caccia al gene. E Nancy Wexler, in origine psicologa e diventata genetista, è stata protagonista in prima persona sia della ricerca genetica sulla popolazione venezuelana del villaggio venezuelano nei pressi del lago Maracaibo, che ha portato a mappare e poi identificare il gene, sia del complesso lavoro di preparazione delle modalità per offrire il test genetico quando è diventato disponibile. La preparazione di procedure efficaci per alleviare l’impatto psicologico di un’indagine genetica presintomatica che può consegnare una sentenza di morte, ha rappresentato un altro ambito della ricerca biomedica, quella della consulenza genetica e delle complesse dimensioni etiche delle eventuali scelte riproduttive per l’uso della diagnosi prenatale, per cui la malattia di Huntington ha ancora rappresentato un modello. Per la cronaca Nancy e Alice, quest’ultima autrice di MappingFate (1996) e The woman who walked into the sea (2008) che raccontano l’epopea dei Wexler, della ricerca sulla natura della malattia e di come è cambiata la percezione sociale della malattia, non hanno fatto il test. Hanno preferito non sapere, decidendo però di non fare figli. Le fondazioni e associazioni dedicate allo studio dell’Huntington e all’aiuto ai malati sono state, soprattutto negli Stati Uniti, esempi formidabili di forza civile e morale. E a quei modelli si ispira l’Associazione Italiana Còrea di Huntington (Aich) che organizza il convegno in Bicocca. Oggi il motore della ricerca è la Cure Huntington Disease Initiative (Chdi) con sede a New York che distribuisce oltre 2oomilioni di euro all’anno. Roba da far impallidire lo stato italiano, che ha stanziato un terzo per PRIN e FIRB! Si racconta molto sulla storia tragicamente affascinante dell’Huntington, incluso quanto ha insegnato di importante sulla biologia normale del cervello (per esempio il ruolo chiave dei gangli basali nei processi cognitivi superiori e la sfida per capire la funzione adattativa sul piano evolutivo e fisiologico dei poliformorfismi dell’huntingtina) e sullo sviluppo delle biotecnologie genetichee cellulari innovative o di modelli animali della malattia, nonché di strategie di cura tra le più avanzate in corso di studio. Ma l’insegnamento sociale e morale più importante è aver dimostrato possibile una cooperazione scientifica internazionale, senza precedenti per una malattia genetica peraltro molto rara, dove il cemento intellettuale è stata la passione e la dedizione perla ricerca di base. Uno sforzo premiato con successi di portata storica. La comunità scientifica, e chi pianifica la politica della ricerca biomedica dovrebbero guardare a questa impresa umana come un esempio a cui ispirarsi.