Milano/Ru 486. Federico: la vogliono i medici, la vogliono le donne

“Ancora una conferma: in Lombardia le donne vogliono poter scegliere l’aborto farmacologico in alternativa a quello chirurgico”: Valerio Federico della Rosa nel Pugno di Milano commenta la bufera sull’ospedale Buzzi, dove il dott. Nicolini ha utilizzato il metotrexate per l’interruzione volontaria di gravidanza “La polemica scoppiata ieri sulla scelta dell’ospedale Buzzi di Milano di usare un farmaco antitumorale, abitualmente utilizzato per indurre l’aborto in caso di gravidanze extrauterine, per realizzare l’interruzione volontaria di gravidanza per via farmacologica – dichiara Valerio Federico, segretario cittadino dei Radicali – non fa altro che rafforzare la posizione da tempo assunta dai Radicali e dalla Rosa nel Pugno.

Noi affermiamo che è ora di dare anche alle donne italiane che compiono la difficile scelta di interrompere la gravidanza un’alternativa all’aborto chirurgico. Non si può più aspettare”.

Valerio Federico parla con cognizione di causa: nei mesi scorsi ha portato avanti insieme a Eleonora Voltolina un’indagine sull’applicazione della legge 194 in Lombardia, contattando

quasi tutti gli ospedali dove si effettua questo servizio. I risultati sono stati presentati a fine marzo nel corso di una conferenza stampa, presenti anche Emma Bonino e Pia Locatelli, e possono essere consultati al link http://www.radicalimilano.it/public/risorse/visua.asp?dati=ok&id=68.

“Negli ultimi mesi, a parte la carenza cronica di ginecologi e anestesisti non-obiettori in grado di garantire l’applicazione della legge 194, abbiamo riscontrato anche un grande interesse da parte sia delle donne sia dei medici all’aborto farmacologico. Noi non diciamo che l’aborto farmacologico sia meglio di quello chirurgico – specifica l’esponente della Rosa nel Pugno – ma sosteniamo con forza che debba essere data la possibilità, sia al ginecologo sia alla paziente, di scegliere”.

“Non sono un medico, non posso quindi entrare nel merito dell’utilizzo del mifepristone piuttosto che del metotrexate. Un’osservazione di buon senso, però, è che la cosa migliore sarebbe utilizzare un farmaco registrato come “abortivo”, piuttosto che un farmaco registrato per altre indicazioni. E’ chiaro però che la scelta di utilizzare il metotrexate, utilizzato da un decennio per le gravidanze extrauterine anche senza indicazione, è la conseguenza dell’atteggiamento di totale chiusura della Regione Lombardia, che non sa distinguere gli aspetti politici da quelli scientifici e sanitari.”.

“L’Italia si adegui al resto del mondo, e permetta finalmente alle donne che lo desiderano di ricorrere all’aborto farmacologico, per poter evitare i rischi dell’anestesia e dell’intervento chirurgico. Nel corso della nostra indagine – conclude Federico – abbiamo incontrato tanti medici favorevoli all’aborto farmacologico. In cinque ospedali lombardi ricordiamo che sono state fatte richieste scritte per importare la Ru486 dall’estero, ma queste richieste sono rimaste senza risposta, chiuse in un cassetto, per una precisa volontà politica. Anche il dottor Bini sta attendendo una risposta chiara da oltre sei mesi: ha richiesto al comitato etico dell’ospedale Niguarda di avviare uno studio clinico sulla Ru486 sul modello di quello in corso all’ospedale Sant’Anna di Torino, ha presentato una montagna di documenti, ma ancora non sa se lo studio potrà partire o no”.