Marco. Laureato, blogger, attivista in lotta con la SLA

Una diagnosi attesa 28 anni. E Marco non è il solo nella sua famiglia a combattere contro questo raro morbo. Suo fratello più grande, infatti, vive la sua stessa condizione. “Dopo la nascita di entrambi, nel 1984 e nel 1989 – dice – la malattia non era stata ancora diagnosticata. Soprattutto non era stata riconosciuta come SLA2. I miei genitori non erano consapevoli delle loro rispettive alterazioni genetiche. Ecco perché, dopo cinque anni dalla nascita di mio fratello Carlo – al quale i medici avevano attribuito alcuni danni da trauma da parto – sono nato io. La diagnosi definitiva è arrivata solo mercoledì 23 maggio 2012, e si può dunque immaginare che percorso ha dovuto fare la scienza medica in questi anni”.

In Italia si contano quasi 5.000 casi di persone affette da Sclerosi Laterale Amiotrofica, con un’incidenza di 3 casi su 100.000 abitanti. Se le cause di questa patologia rimangono per lo più sconosciute, il caso specifico di Marco è stato ancora più complesso. Nel nostro Paese, infatti, lui e il fratello sono gli unici due individui a combattere contro questa rarissima forma di SLA.

“Gli studi sulla nostra malattia sono stati lunghi – racconta – perché molto costosi. Tutti i laboratori contattati dai nostri medici avevano sospeso le analisi sul nostro DNA, ma il Prof. Mario Sabatelli e la Dott.ssa Amelia Conte, del policlinico Agostino Gemelli di Roma, hanno voluto portarle a termine. Le ricerche sono cominciate che mio fratello era neonato, sempre al Gemelli, con due giovani specialisti, il Prof. Enrico Bertini e il Prof. Giovanni Neri. Grazie alla professionalità di questi medici non siamo capitati tra le mani di fantomatici ‘stregoni succhia soldi’”.

 

Non arrendersi mai. Le difficoltà che Marco deve affrontare ogni giorno sono enormi. Per lui, e per chi gli sta vicino. Difficoltà che, comunque, non gli hanno impedito di coltivare le sue passioni, come la politica, che lo ha spinto a mettersi in gioco in prima persona. Oggi infatti è consigliere del comune di Tarquinia, la sua città.

“L’interesse per la politica – racconta – mi è stato trasmesso da mio padre e da bambino, in tv, guardavo le cronache politiche insieme ai cartoni animati. Poi, un giorno, vedendo Luca Coscioni in una delle sue rare apparizioni, mi sono detto: Se ce la fa lui a portare avanti una certa idea di politica ce la posso fare pure io. È così che mi sono avvicinato a questo mondo, con l’entusiasmo e la volontà di poter fare sempre meglio, anche se oggi aspettarsi qualcosa dalla politica nazionale è come dire ‘eresia’. E parla uno che ha supportato, durante le ultime primarie del Partito Democratico, la candidatura di Giuseppe Civati. Sarò forse un po’ all’antica ma io credo fortemente nell’idea della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza. Vorrei vedere un cambiamento nelle nostre istituzioni visto che al momento sembra non ci siano rappresentanti degni di questo nome”.

Parole di una persona normale, impegnata, come tante. Quello che Marco non dice, però, è che anche solo uscire di casa, per lui, così semplice non è. Una sedia a rotelle, sempre bisognoso di assistenza, una voce metallica che deve sostituire la sua, a casa come in università o ad un’assemblea comunale. Può solo scrivere al computer, che trasforma quelle tante battute in suoni artificiali.

Il format radiofonico e il problema della disabilità Disagi, molti, che anche nel migliore dei casi sono difficili da digerire e che Marco ha cercato di raccontare e denunciare in un format radiofonico, curato da lui stesso e andato in onda su una web radio di Genzano dal 2009 al 2012.

Frazione Handicap – questo il nome del progetto – era un’idea nata nel 2008 con l’intento di dedicare uno spazio particolare a tutti coloro che sentivano l’esigenza di essere presenti in una realtà in cui pochi vogliono alzare la voce per far valere i propri diritti e doveri. “Il mondo dell’handicap non vuole essere una realtà a se stante, ma è una parte integrante della società. Per questo avevamo pensato di dare e darci l’opportunità concreta di fare gruppo anche attraverso uno degli strumenti più amati: la radio. Non nell’accezione comune, ma quella virtuale, nella quale certamente almeno non esistono barriere architettoniche. Ciò non toglie che rimangono molti limiti psicologici e questo è l’aspetto che più motivava il nostro programma. Volevamo infatti fare informazione fruibile a tutti per offrire gli strumenti necessari a dar vita a critiche, dibattiti, opinioni e punti di vista diversi ma non necessariamente contrastanti tra loro. Questo spazio non si fermava all’aspetto informativo e di ‘denuncia’, ma aveva un valore aggiunto: essere un connubio tra cultura, esperienze e svago”.

Una rabbia non sterile, quella di Marco, ma la volontà di cambiare una società che sembra creare ostacoli invece di aiutare a superarli. Perché per le campagne, quelle vere, una bella voce, da sola, forse non basta.

La ricerca. I passi compiuti dalla medicina nel corso degli anni sono stati notevoli, ma la strada da fare è ancora lunga. La ricerca scientifica, nel nostro Paese come in molti altri, incontra spesso difficoltà che ne ostacolano il completo sviluppo.

“Sulla carta la ricerca è libera – ricorda Marco – ma la realtà è diversa: si spende sempre meno e molti settori sono ancora considerati dei tabù, come gli esperimenti sugli embrioni e le cellule staminali. È stato messo a dura prova l’equilibrio tra l’impostazione conservatrice di alcune autorità e la visione di chi punta all’innovazione tramite la sperimentazione”.

Proprio lo scorso 4 Aprile, alla Camera dei Deputati, è stato presentato il primo indice che misura a livello mondiale il grado di libertà di ricerca e di cura nel mondo: su 42 paesi considerati, l’Italia si attesta al 35esimo posto, insieme al Brasile a alla Colombia. La presentazione è avvenuta nell’ambito del terzo incontro del Congresso mondiale per la libertà della ricerca scientifica in corso a Roma dal 4 al 6 Aprile 2014. Evento al quale anche Marco avrebbe dovuto partecipare, ma a cui, per motivi di salute inaspettati, è stato costretto a rinunciare. Un modo, dunque, per far sentire la propria voce, perché “il problema di fondo è capire una volta per tutte quali spazi e quali limiti ponga davvero la Costituzione alla ricerca scientifica”.

“Perché anche in una vita immobile si muovono tante cose”. “L’handicap”, scrive Candido Cannavò nel suo libro E li chiamano disabili, “è un motore di cui non si conoscono i limiti”. E certo è che di limiti Marco, così come anche il fratello Carlo, anche lui laureato in Cinema, Televisione e Produzione multimediale, non vogliono proprio sentirne parlare: “ogni giorno ci dedichiamo ai nostri interessi specifici, siamo in contatto costante con una rete di persone che ci supportano e collaborano con noi nello svolgimento delle iniziative quotidiane. Senza queste persone e senza la caparbietà della mia famiglia, io non mi sentirei ‘vivo’; per questo ringrazio tutti loro con affetto”.

Come ogni ragazzo alla sua età, anche Marco ha tanti progetti, aspettative, speranze per il futuro: “In primis mi auguro che la ricerca scientifica possa riuscire a bloccare o curare la mia malattia. Poi mi piacerebbe vedere una politica più giusta, più equa e più disinteressata. Una politica che non faccia solo il suo gioco, o, se vogliamo, che non faccia solo pianobar”.

E alla domanda su cosa lo renda davvero felice risponde: “Vedere la felicità riflessa negli occhi degli altri”.