Malati di Sla, Salvatore Usala: «Moriremo in diretta Tv»

VanityFair
Tamara Ferrari

«Che Stato è questo dove dei disabili gravissimi, persone che come me non sono più autosufficienti, sono costretti a minacciare di uccidersi per ottenere le cure alle quali avrebbero diritto? Lasciate che ve lo dica: è un Paese incivile, lo zimbello d’Europa». Salvatore Usala ha 59 anni. Da quattro vive in un letto per colpa di una terribile malattia che lo ha reso disabile: la Sla. Non parla Salvatore, comunica con un computer. Lui digita le parole e il pc le pronuncia. Per completare una frase ci vogliono molti minuti, tanto sforzo e soprattutto pazienza. Ma lui non demorde, è un combattente. Non a caso è diventato il segretario del Comitato 16 Novembre, che difende i diritti delle persone come lui. 
Salvatore Usala vive completamente paralizzato in un letto a casa sua. «Mi assiste mia moglie e ci sono due persone che l’aiutano. Ho una figlia, sposata, che viene spesso a trovarmi. E ho anche tanti amici. Eppure ho deciso di lasciarmi morire», dice.

Per quale motivo?
«Il Governo non rispetta gli impegni che aveva preso con noi».

Quali impegni?
«Nella speinding review c’erano 350 milioni destinati alla non autosufficienza, che adesso sono diventati 200 milioni. Un furto. E dire che per ottenere quel fondo in sessanta avevamo rischiato di morire non mangiando per una settimana». Ci riepiloghi l’accaduto.
«Ad aprile il governo si era impegnato a fornire entro un mese un piano per noi disabili gravissimi. Il 6 luglio un decreto aveva previsto un intervento concreto per noi, il cosiddetto «fondo Letta». Solo che poi non se n’è più parlato fino a ottobre, quando con l’ultima Spending Review, il fondo è rientrato nella disponibilità della presidenza del Consiglio per finanziare, più genericamente, il sociale. Risultato: una diminuzione dell’intervento economico per la nostra categoria. Da qui la decisione dello sciopero, durato sei giorni e conclusosi dopo che il ministro Fornero si è impegnata a sentire il premier, Mario Monti, per definire un intervento importante per noi. Ma la promessa non è stata mantenuta».

Questo che cosa comporterà?
«Il Governo ha concordato con i relatori in Commissione Bilancio un emendamento per la non autosufficienza di circa 200 milioni. Ma a parte che la somma è molto più bassa rispetto ai 350 milioni iniziali, il problema è anche che questi soldi non sono finalizzati. Per noi malati di Sla, e per le persone nella nostra condizione, la carenza di fondi significa stop alle cure. Soprattutto alle cure a casa. Significa essere costretti a finire in qualche ospedale, clinica o ospizio, che per noi sono come dei lager».

 

Paroli forti…
«Ma è la verità. A casa viviamo insieme alle persone che amiamo, costantemente curati, gli amici vengono a farci visita, il tempo scorre più in fretta. In ospedale non è così, non si vede nessuno e tu diventi un numero. Personalmente mi rifiuto di essere un numero, di vivere in quello che per me sarebbe come un lager. E non sono l’unico a pensarla così. Ecco perché, se le cose non cambieranno, io e un’altra decina di persone ci lasceremo morire in diretta Tv».

Prego?
«Il 21 novembre andremo a Roma, davanti al ministero dell’Economia. Saremo tutti pazienti con tracheostomia e tutti senza ventilatore polmonare di scorta. Così, quando dopo circa sei ore si scaricheranno le batterie, moriremo per soffocamento. A quel punto immagino che sulla strada, con noi, ci saranno le televisioni. Moriremo in diretta Tv e la responsabilità sarà solo ed esclusivamente del Governo». 

C’è un modo per farvi desistere?
«Il Governo rispetti gli impegni presi».