L’utero in affitto è anche questione di regole

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Marco Cappato, Filomena Gallo

Nel dibattito sulle unioni civili, attraverso la questione della adozione del figlio del partner, la gestazione per altri (maternità surrogata, sprezzantemente definita «utero in affitto») è utilizzata come spauracchio terrorizzante, come fantasma utile per spaventare e impedire di ragionare. Ma non c`è nulla di cui spaventarsi.

Portare avanti una gestazione per conto di un`altra persona è certamente questione di massima delicatezza. Proprio per questo, servirebbero buone regole, capaci di distinguere nettamente tra azioni ispirate da solidarietà e consapevolezza e atti di sfruttamento criminale. Purtroppo, la legislazione italiana, che tutto sembra proibire con la minaccia del carcere fino a due anni di carcere, ha come risultato di condannare alla clandestinità persone che cercano soltanto di concepire con amore un figlio assieme. Sarebbe invece indispensabile determinare in modo preciso alcuni casi in cui la maternità/ gestazione per conto di un`altra persona è consentita, in particolare per coloro che per motivi di salute non possono portare avanti una gravidanza o come nel caso delle coppie dello stesso sesso per la natura specifica.

La determinazione di un rimborso economico, se stabilita, dovrà comunque essere mantenuta sotto la soglia oltre la quale la logica commerciale – pur sempre presente a vario titolo in tutte le pratiche mediche, anche le più intime e vitali, in modo ineliminabile all`interno di un`economia di mercato – non prevalga sulla logica solidale della compensazione tra chi è in grado di accogliere nel proprio grembo una nuova vita e di chi, per motivi di malattia o di conformazione, non lo è più.

[LEGGI l’articolo di Emma Bonino sul Corriere della Sera: “contro gli abusi, mettere limiti con una legge”]

Nella convinzione che soltanto una limitata e controllata legalizzazione sia adeguata a governare un fenomeno tanto delicato quanto ineliminabile anche attraverso un`adeguata opera di dialogo e informazione – chiediamo ai Parlamentari italiani di aprire al più presto un dibattito laico sul tema, partendo innanzitutto dai risultati ottenuti e dai limiti riscontrati nei Paesi nei quali la legalizzazione a vario titolo è stata realizzata.

I principi che secondo l`associazione Luca Coscioni una buona legge dovrebbe fissare sul tema sono semplici. Persone maggiorenni di sesso diverso, o dello stesso sesso, che potranno accedere a questa tecnica con tutte le tutele necessarie per il nato, i futuri genitori e la donna che li aiuterà portando avanti per loro una gestazione. Un atto da entrambi le parti irrevocabile dopo l`inizio della gravidanza, che preveda a carico delle persone che vi ricorrono le spese sanitarie dirette integrate da un ulteriore rimborso delle spese indirette che tenga conto della perdita di capacità reddituale cui va incontro la gestante nel corso del periodo che precede la gravidanza, nel corso della stessa e successivamente nel periodo previsto per legge in materia di permessi di lavoro a seguito di parto e delle spese generali sostenute durante la gestazione. La partoriente non acquisirà alcun diritto o obbligo nel confronti del nato e non sarà nominata nell`alto di nascita.

Bisogna chiarire che alla base di tali scelte c`è un presupposto fondamentale che  forse troppe volte il legislatore italiano ha voluto ignorare, tutto ciò ha come fondamento la “presunzione in favore della libertà”. Jhon Stuart Mill scriveva: «Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve rendere conto alla società è quello riguardante gli altri: per l`aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l`individuo è sovrano».

I tempi sono maturi affinché la gestazione per altri o se la si vuol chiamare surrogata sia finalmente normala in Italia per tutti coloro che hanno necessità di accedervi per poter avere un figlio. Senza etichette, famiglie libere in un Paese adulto che afferma del diritto di scegliere come amare.