Lo sciopero della fame per la tutela dei diritti civili

Intervista a Mina Welby di Stefania Prandi

Continua a combattere Mina Welby. La sua è una lotta per il diritto alla procreazione assistita, al testamento biologico e alla depenalizzazione dell’eutanasia, che il nostro Paese ancora non riconosce. È trascorso più di un anno dalla morte di suo marito, Piergiorgio Welby, malato terminale di distrofia muscolare che decise di interrompere (con l’aiuto di un medico) un’esistenza «non più dignitosa». Quel giorno, ricorda Mina, «prima che il dottore lo sedasse e staccasse il respiratore artificiale io chiesi per l’ultima volta a Piergiorgio se era sicuro di volere morire. Lui mi rispose di sì. Con quell’ultimo sì anch’io sono morta, ma ho continuato a vivere portando avanti le sue battaglie». L’ultima, in ordine di tempo, è cominciata il 31 gennaio scorso con lo sciopero della fame intrapreso dopo la caduta del Governo.

Perchè questa protesta, Mina?

Io e molti altri attivisti dell’associazione Luca Coscioni abbiamo cominciato lo sciopero della fame dopo lo scioglimento delle Camere. Vogliamo che in queste ultime settimane che restano al governo per gestire il disbrigo di affari correnti ci siano delle risposte sulle questioni che riguardano la salute dei cittadini. Ci sono provvedimenti pronti da mesi sui quali c’è un consenso generale ma manca la firma del ministro della Salute Livia Turco. Giovedì scorso abbiamo incontrato il Ministro che è stato molto disponibile, ma noi continueremo la protesta fino a quando non ci saranno risposte concrete.

Che cosa chiedete?

Che siano varate le norme per limitare gli errori clinici: in Italia ci sono tra i 20 e i 70 mila morti nella sanità ogni anno. Serve poi l’aggiornamento delle linee guida della Legge sulla fecondazione assistita e l’emanazione del decreto attuativo della convenzione di Oviedo, per la protezione dei diritti e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina, che l’Italia ha recepito ma non applica. Chiediamo anche l’approvazione del nuovo Nomenclatore tariffario: con questo documento per le persone disabili sarà più facile avere protesi e ausili informatici.

Dal 15 al 17 gennaio ci sarà un congresso promosso dall’ Associazione Luca Coscioni. Di che cosa discuterete?

Di tutti i diritti civili che sono in sospeso perché in Italia la politica è ancora troppo lontana dai bisogni reali delle persone. Molti politici purtroppo ragionano secondo gli interessi del partito e non del Paese. A Salerno parleremo del diritto al voto e alla vita indipendente dei disabili, della ricerca scientifica e delle scelte sulla fine della vita delle persone che non riescono più a condurre un’esistenza dignitosa, come è successo a mio marito. Interverranno, tra gli altri, Maria Antonietta Coscioni, Marco Cappato, Stefano Rodotà, Emma Bonino e Luigi Manconi.

Questa vicenda di suo marito è stata a lungo al centro del dibattito mediatico lei crede crede che se fosse stato in un latro paese ci sarebbe stata meno?

Se avessimo voluto avremmo potuto agire in silenzio, con più facilità. Ma Piergiorgio ha voluto farlo pubblicamente. «Nessun altro malato- diceva- dovrà mai più soffrire come me. Non si può imporre l’intervento medico a chi non lo vuole».
Mario Riccio, l’anestesista che ha staccato il respiratore a suo marito, è stato processato ed assolto che ne pensa? Questa sentenza è stata molto importante perché ora i malati possono chiedere quello che vogliono, senza essere schiavi dell’accanimento terapeutico.

Signora Welby suo marito ha subito una tracheotomia dieci anni prima di morire. Un intervento che gli ha permesso di vivere ancora a lungo ma con difficoltà. Si è mai pentito?

I primi tempi dopo l’intervento sono stati duri ma poi, anche con l’aiuto del fisiatra, Piergiorgio pur restando gran parte del tempo bloccato a letto ha ricominciato a vivere: con il computer riusciva a dipingere, a scrivere, a comunicare con amici e conoscenti. Quei nove anni sono trascorsi anche troppo in fretta. Ricordo che un pomeriggio, prima che morisse, io gli chiesi di perdonarmi per averlo fatto intubare. E allora lui mi chiese se ero stata felice con lui in quegli anni e io gli dissi di sì. E lui mi disse che anche lui era stato felice e che era contento di avere vissuto così