“L’Italia non può vietare gli OGM” – L’Europa sdogana il supermais

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Il Giorno
Luca Zorloni

Nella partita sugli ogm, gli organismi geneticamente modificati, l’Italia gioca da troppi anni a fare Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, il generale romano che vinse i Cartaginesi evitando lo scontro diretto.

La storia però in questo caso non si è ripetuta e le forze dell’agricoltura trasgenica non sono affatto fiaccate. Anzi. Il Belpaese è stato messo con le spalle al muro da Pioneer Hi Bred, azienda sementiera di Cremona, filiale italiana della multinazionale americana Dupont Pioneer, che ha vinto una causa presso la Corte di giustizia europea.

Pioneer nel 2008 ha intentato un procedimento legale nei confronti del nostro Ministero delle politiche agricole contro lo stop a coltivazioni mais geneticamente modificato nel territorio nazionale. L’anno scorso il Consiglio di Stato ha chiesto un parere ai giudici di Lussemburgo e questi il 6 settembre hanno emesso una sentenza che dà ragione al privato e torto all’Italia: il divieto nazionale di impiantare ogm autorizzati dalla Ue è illegittimo.

L’interesse di Pioneer — 400 impiegati in Italia, sede a Gadesco Pieve Delmona — è rivolto a una varietà specifica, il mais Mon 810, prodotto dalla multinazionale delle biotecnologie Monsanto. Mon 810 è dotato di super resistenza. Non teme l’acerrimo nemico del mais, il parassita piralide. Ha geni modificati per produrre tossine letali per la larva di questo insetto che altrimenti si annida nella pianta, succhia il nutrimento e crea l’ambiente ideale per la fioritura di funghi nocivi per l’uomo. Secondo Pioneer, la coltivazione di mais ogm porterebbe a un aumento del volume d’affari nel settore tra i 40,6 e i 108,2 milioni di euro.

Sono due le motivazioni con cui la Corte di Lussemburgo ha demolito i divieti di Roma. Primo: se l’impiego e la commercializzazione di una varietà ogm sono autorizzati dall’articolo 20 del regolamento comunitario relativo ad alimenti e mangimi geneticamente modificati e la varietà stessa è iscritta al catalogo comune, la messa in coltura «non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione». Dunque uno stato non può ostacolare piante biotech che abbiano il placet europeo. Secondo: l’Italia non può opporsi all’immissione di ogm perché è in ritardo con l’adozione delle misure di coesistenza, ovvero gli indirizzi normativi che regolano la convivenza di agricoltura convenzionale, biologica e transgenica. Al Consiglio di Stato il compito di mettere la parola fine al dibattimento. «Quando, non si sa — commenta Paolo Marchesini, responsabile affari istituzionali Sud Europea di Pioneer —, conosciamo i tempi della giustizia nazionale. Ora bisogna capire come verrà affrontato il tema ogm. In Italia pochi li hanno visti, è normale avere paura dei fantasmi».

In parallelo dovrebbe sbloccarsi la discussione sulle misure di coesistenza. E compito delle Regioni, ma i lavori sono sostanzialmente fermi al 2004, quando l’allora ministro per le politiche agricole Gianni Alemanno avanzò un impianto legislativo dichiarato parzialmente incostituzionale. Il tempo è scaduto: entro un anno al massimo, secondo l’eurodeputato Carlo Fidanza, l’Italia potrebbe incappare nelle sanzioni di Bruxelles se non legifererà in matena di coesistenza e, di conseguenza, di agricoltura biotech.

I dati del settore dimostrano che l’introduzione degli ogm cambierebbe radicalmente il panorama dell’agro-alimentare in Lombardia. Secondo uno studio realizzato da Università Statale di Milano, Cattolica e Pirellone, nel 2011 il 16,1% del valore agricolo nazionale è stato prodotto dalla Lombardia (12 miliardi di euro). Nello stesso anno nella regione è stato mietuto poco meno della metà del mais ceroso italiano, il 49,4%, pari a 7,711 miliardi di tonnellate, il 29,5% di mais da granella (2,880 miliardi di tonnellate) e il 20,3% di soia, 114 mila tonnellate. L’Italia è al di sotto del proprio fabbisogno di entrambi i prodotti e li importa dall’estero, sotto forma di varietà transgeniche, di cui è vietata la semina ma ammesso l’utilizzo per mangimi animali. Nel 2004, secondo un rapporto Nomisma, una vacca tricolore spazzolava in media un chilo di soia ogm al dì, oggi quasi cinque. In Lombardia nel 2011 è stato munto il 38,5% del latte italiano (42.177 tonnellate). Dei 986.826 ettari destinati ad agricoltura, il 72,5%, quasi i due terzi, è superficie a semina. Pioneer vuole distribuire semi ogm. Per l’Unione Europea nessuno glielo può vietare.