Liberi fino alla fine della vita libera

Intervista di Eleonora Martini a Filomena Gallo pubblicata su il Manifesto – 30/07/2020

La corte d’Assise di Massa ha stabilito che Marco Cappato e Mina Welby non hanno istigato al suicidio Davide Trentini e che l’aiuto fornito dai due dirigenti dell’associazione Luca Coscioni all’uomo 53enne affetto da sclerosi multipla, supportandolo economicamente nel suo progetto di fine vita e accompagnandolo in una clinica Svizzera dove il 13 aprile 2017 ha ottenuto il suicidio assistito, non è un reato. La segretaria dell’associazione Filomena Gallo ha coordinato il pool di avvocati della difesa ottenendo una vittoria oltre le aspettative e un pronunciamento che estende il limite della non punibilità dell’aiuto al suicidio imposto dalla Corte costituzionale nel novembre scorso.

Avvocata Gallo, quale linea processuale ha scelto di seguire?

All’indomani della sentenza della Consulta abbiamo esaminato gli  atti del processo che si è tenuto davanti la corte d’Assise di Massa e abbiamo deciso di chiedere una consulenza tecnica al dottor Mario Riccio e di proporla in dibattimento. Da questa consulenza è emerso che il livello di farmaci che Davide assumeva era importante ma non sufficiente per controllare totalmente il suo dolore. È agli atti che i medici avevano rifiutato la sua richiesta di avere una dose maggiore di antidolorifici perché ci sarebbe stato un arresto cardiocircolatorio. Inoltre il suo corpo aveva subito ormai il deterioramento di alcune funzioni con conseguenze pesanti e imbarazzanti. Così la Corte ha potuto verificare il fatto che non c’è stata alcuna istigazione al suicidio perché Davide aveva maturato questa convinzione da molto prima di chiedere aiuto. E, anzi, Cappato e Welby tentarono di dissuaderlo.

La Corte ha riconosciuto che l’aiuto economico, materiale e legale da loro fornito come atto di disobbedienza civile – ricordiamo che si autodenunciarono – non è reato. Lo sarebbe per l’articolo 580 del codice penale, ma il nostro ordinamento è del 1930 ed è reso obsoleto dal principio costituzionale dell’autodeterminazione, scritto nella Carta del 1948. La Consulta ha chiarito che non è reato aiutare un aspirante suicida capace di autodeterminarsi, affetto da patologia irreversibile, sottoposto ad enormi sofferenze psichiche e fisiche, e dipendente (del tutto o parzialmente) da trattamenti di «sostegno vitale» che solo la scienza può definire. La consulenza del dott. Riccio e la sua deposizione dell’8 luglio scorso hanno fatto emergere che nel caso di Trentini il «sostegno vitale» erano i farmaci, mentre per esempio nel caso di Dj Fabo era un macchinario, da cui dipendeva parzialmente.

Questo vuol dire che potrebbe essere lecito anche aiutare un aspirante suicida affetto da gravi patologie psichiatriche irreversibili e dipendente da psicofarmaci?

La Corte parla genericamente di patologie gravi, irreversibili e che producono gravi sofferenze, ma pone il limite del paziente che deve essere pienamente in grado di autodeterminarsi. Cosa che sarebbe da escludere in caso di malattie psichiatriche. Non credo che si possa arrivare a questo, sono scettica, anche se non essendo un medico non so definire una patologia psichiatrica. Bisognerebbe ritornare in tribunale, per un caso del genere. D’altronde il Comitato nazionale di Bioetica ha ben descritto questi limiti dopo l’ordinanza 207 della Consulta emanata nel 2018, un anno prima della sentenza. C’è bisogno di una legge perché vanno affrontati tanti aspetti che riguardano la libertà di scelta nel fine vita. Il reato non è più reato ma nell’ambito di alcuni casi specifici.

Il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, non certo un illiberale, in un’intervista all’«Huffington post» si dice preoccupato per le conseguenze di questa sentenza e sostiene che «l’autodeterminazione spesso è un concetto che funziona per chi ha molta cultura e molta ricchezza». Cosa risponde?

Mah, io credo che la malattia e la sofferenza non fanno differenza tra chi ha molta o poca cultura e ricchezza. Purtroppo toccano tutti. E una persona che non ha cultura e non ha ricchezza invece oggi in Italia ha un limite in più, perché non può andare all’estero e diventa prigioniera di una sofferenza indescrivibile. Quella persona invece deve sapere che può rivolgersi al Servizio sanitario nazionale e porre fine alle proprie sofferenze. Deve poterlo fare chiedendo la sedazione profonda o chiedendo un farmaco letale.

Voi avete presentato in Parlamento anche una legge di iniziativa popolare sull’eutanasia legale, ma è tutto fermo. Forse questo non è il momento giusto?

Non è una questione di contingenza: il problema – e il dott. Flick dovrebbe esserne cosciente – è che mentre la Corte auspica fortemente l’intervento del legislatore da oltre un anno, il Parlamento e il governo hanno smesso da troppo tempo di occuparsi dei temi che riguardano la libertà delle persone. Il presidente del Consiglio dovrebbe riportare in parlamento la sentenza della Consulta che chiama in causa il legislatore, e non è stato fatto. I presidenti delle due Camere dovrebbero aprire un dibattito su quel pronunciamento ma neppure questo è stato fatto. Ed è passato già quasi un anno: non è certo colpa del Covid.

Non solo fine vita, dunque. Quali sono i temi più urgenti che attendono di essere affrontati, nell’ambito dei diritti civili?

Sono tanti: dalla legalizzazione della cannabis – parliamo di droghe che dovrebbero essere sottratte alle narcomafie e ai «sodalizi criminali», e il cui traffico funge da anticamera di reati più gravi – fino all’aborto, una legge di Stato che dobbiamo ancora difendere perché non viene applicata su tutto il territorio italiano. E poi l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza e dei vari nomenclatori tariffari, che non vengono aggiornati dal 2017 e dovrebbero esserlo ogni anno. Negli ultimi giorni è stata nominata la nuova Commissione Lea, ma la precedente cosa ha fatto? Ricordo che ci sono malati con disabilità gravi che non riescono ad ottenere nemmeno gli ausili di cui hanno bisogno. Per questo Maurizio Bolognetti, uno dei dirigenti dell’associazione Coscioni, è al 24esimo giorno di sciopero della fame, ma non ha ricevuto alcuna risposta né dalla regione Basilicata, né dal ministro Speranza. Noi siamo stati due mesi in lockdown e ci sono sembrati un’eternità, eppure ci sono persone che vivono tutta la vita in lockdown e che non hanno quegli ausili necessari per avere un livello di vita accettabile. E perché non ce l’hanno? Perché l’atto che deve identificare l’erogazione di questi ausili non è stato scritto correttamente e la Consip evidenzia che così non si possono fare i bandi di gara. Una cosa gravissima. Ci occupiamo dei diritti dell’inizio e della fine della vita, ma in mezzo c’è la vita. E va tutelata.

Qualche correlazione c’è tra diritti civili, promozione di una politica basata sulla conoscenza scientifica e sviluppo economico di un Paese?

Se i diritti civili fossero rispettati nel nostro Paese garantirebbero la possibilità di usufruire dei benefici della scienza. Avremmo un volano per superare gli ostacoli e proiettare l’Italia nel futuro. L’economia si sviluppa anche così. Come abbiamo capito con l’emergenza pandemica, sanità e ricerca scientifica sono il cuore di Paese che non può fermarsi.