“Le troppe persone fuori al buio? Si nascondono per il senso di colpa”

Intervista a Fabrizio Starace, consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni


Starace: per l’umanità mai nulla di simile, si evade dalla depressione

Come mai dopo una fase di stretta osservanza la gente tende ad uscire più di casa?

“Il genere umano non ha mai sperimentato una situazione di tale eccezionalità. Di fronte a un fatto nuovo, all’inizio abbiamo avuto una risposta graduale. Poi ognuno di noi si è scontrato con la realtà di tutti i giorni. La realtà è fatta di persone che coabitano in pochi metri quadri, di crisi relazionali che prima non erano evidenti in quanto le occasioni di scambio e interazione erano ridotte”. È l’analisi di Fabrizio Starace, psichiatra, membro del Consiglio superiore di Sanità.

Come mai c’è tanta gente in giro alle 23, come dice il vicepresidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala?

“Penso che prevalga il senso di colpa sociale. Sappiamo di non doverlo fare. È come quando al supermercato veniamo ripresi se non indossiamo la mascherina. Sappiamo di trasgredire e di esporre a rischio la collettività. Ci nascondiamo”.

E se non è questione di rapporti interpersonali difficili?

“Si esce di casa perché purtroppo negli italiani sta cominciando a ridursi la percezione del rischio. Le ultime notizie sono state incoraggianti e sono arrivate in una fase in cui si va esaurendo la capacità dei singoli di trovarsi da settimane in situazioni limitanti stressanti”.

Esperienza mai vissuta, dunque bisogna imparare?

“Si, tutta la popolazione da alcuni mesi viene sottoposta alle conseguenze di una situazione catastrofica senza precedenti. I ricercatori cinesi hanno visto che il 50% degli abitanti di Wuhan, sottoposti a restrizioni rigorose, hanno sviluppato depressione, ansia o insonnia che in Italia, dove il lockdown è meno duro, possono dare la spinta a uscire fuori dalle costrizioni ed evadere. I cinesi hanno senso di obbedienza e rispetto delle gerarchie politiche sicuramente più marcato”.

Che cosa si può fare per limitare lo stato di malessere e la tentazione di uscire?

“Sarebbe importante, da parte dei decisori, individuare una scadenza alla quale le persone possono tendere. Una data da rimettere in discussione se ci si rendesse conto che non ci sono i presupposti necessari per passare a una fase meno restrittiva. La penosa attesa quotidiana della buona notizia genera incertezza. La possibilità di traguardare l’orizzonte potrebbe aiutare a trovare un adattamento. L’uomo è capace di tollerare le difficoltà ma non l’incerto.”

L’epidemia però non permette di prendere appuntamenti. E allora?

“Diamo per scontato che il 13 aprile non si possa riprendere le attività. Sarebbe importante dirlo con chiarezza fin da adesso e dare nuove indicazioni. La gente potrebbe dare fondo ad altre risorse personali per sostenere la sofferenza. Le faccio un esempio. Se sai che il gesso te lo togli tra 40 giorni, aspetti se non hai una prospettiva certa provi a sfilarlo. L’uomo ha necessità di definire scadenze”.

Che fare per non uscire?

Riorganizzare l’agenda mentale. Pensare che quando questo sarà concluso sarà grazie ai nostri sacrifici. Diamoci valore.