Le scelte etiche vanno affidate alla responsabilità umana

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La Stampa
Eugenio Le Caldano

Il filosofo Eugenio Lecaldano su La Stampa si esprime sulla calendarizzazione della proposta di legge sull’eutanasia per marzo, evidenziando come uno Stato laico dovrebbe assumere, per l’appunto, una prospettiva laica.

Il parlamento italiano ha calendarizzato per il mese di marzo una proposta di legge di iniziativa popolare relativa all’eutanasia.

Può dunque valere la pena richiamare una serie di ragioni che portano a considerare questa pratica eticamente accettabile e in primo luogo – dato che il termine si applica a situazioni molto diverse – va specificato che ci si riferisce all’eutanasia attiva volontaria cioè a quei casi in cui una persona gravemente malata e sofferente chiede del tutto volontariamente di essere aiutata attivamente ad abbreviare la sua esistenza. Questo tipo di eutanasia è al centro di leggi che la rendono praticabile in Belgio ed Olanda, senza la perseguibilità dei medici che intervengono. A questo tipo di eutanasia, o al suicidio assistito, hanno fatto ricorso un certo numero di persone in Svizzera (e in dicembre Dominique Velati). Questa pratica è resa eticamente accettabile da quella visione etica laica in senso largo che considera le condotte moralmente rilevanti degli esseri umani come parte di un mondo naturale nel quale non è riconoscibile nessuna presenza trascendente; o che, sia pure ammettendo la presenza di un qualche Dio nell’universo, ritiene che le decisioni etiche debbano essere affidate alla responsabilità umana.

Questa prospettiva laica muove dal riconoscimento che la vita nel suo complesso – dalla nascita fino alla morte – è disponibile alle scelte e decisioni degli esseri umani; di più: solo con l’ammettere che gli esseri umani dispongono della loro vita si riesce a dare un fondamento accettabile alla pratica della moralità; e solo persone autonome, che hanno una piena libertà naturale, possono essere ritenute eticamente responsabili. Il modo in cui si muore è dunque un evento disponibile alle persone, le quali si interrogheranno sul loro percorso alla fine della vita. Quando le sofferenze che si subiscono siano insostenibili e la condizione in cui si sopravvive sia priva di qualsiasi dignità e sia un peso non solo per noi ma anche per gli altri, una richiesta di essere aiutato a morire può essere moralmente approvabile, e in alcuni casi addirittura doverosa.

In aumento nel nostro paese, purtroppo, sono i casi di persone che, non essendovi le condizioni per l’eutanasia o il suicidio assistito, sono costrette a porre fine alla propria vita o a quella dei loro cari che lo richiedono ripetutamente con orribili azioni violente (come ad esempio illustra il film di M. Haneke del 2012, “Amour”). Non solo la responsabilità del modo in cui morire è eticamente disponibile alla persona che muore, ma qualsiasi giudizio o legge che pretende – come accade in Italia – di stabilire come tutte le persone, indiscriminatamente, debbono morire è una forma coercitiva di intrusione nelle vite delle persone.

Naturalmente le questioni più specifiche riguardanti la regolamentazione delle modalità in cui si debba svolgere una pratica eutanasica, i rapporti tra le persone che chiedono di ricorrervi e le istituzioni pubbliche che la rendono possibile, dovrebbero essere una parte importante di una legge sull’eutanasia, sulla quale auspichiamo che da marzo si apra un approfondimento parlamentare e pubblico. Così come speriamo – forse qui con un pizzico in più di realismo – che in questa occasione i nostri parlamentari si ricordino che il nostro paese è in una grave condizione di arretratezza, non essendo ancora riuscito nemmeno a garantire a noi tutti un diritto elementare: non già quello di essere aiutati a morire nel modo che corrisponde ai loro valori, ma più semplicemente quello di poter formulare anticipatamente direttive su come essere curati e trattati in situazioni – sempre più frequenti – in cui ci si avvicina alla morte senza avere più la consapevolezza di ciò che ci stanno facendo.