Lasciamo Eluana al giudice

tribunaleC’è un altro fronte di guerra tra politica e giustizia. Un fronte silenzioso, senza il rumor di sciabole che ha accompagnato il lodo Alfano; ma questa volta è in gioco la sopravvivenza stessa dell’esercito nemico.
Oggi l’aula del Senato deciderà se aprire un conflitto tra poteri contro la Cassazione, dopo la sentenza che nell’ottobre scorso autorizzò lo stop all’alimentazione per Eluana Englaro, in coma ormai da sedici anni; e tutto lascia credere che quest’iniziativa senza precedenti otterrà il proprio battesimo ufficiale. Perché l’iniziativa è stata caldeggiata dal presidente del Senato, nonché dal presidente del Consiglio. Perché la commissione Affari costituzionali ha già acceso il verde del semaforo, accusando i giudici d’essersi sostituiti al Parlamento. E perché infine soffia un vento da resa dei conti, la voglia di mettere un cerotto in bocca alla «bocca della legge», come a suo tempo Montesquieu definiva il potere giudiziario.
Il caso Eluana, d’altronde, non è che l’ultimo grano del rosario. In maggio un giudice di Modena rese una decisione analoga nei confronti di Vincenza, attraverso un’interpretazione innovativa della legge n. 6 del 2004. Qualche anno prima, nel 2002, un altro collegio giudicante assolse l’ingegner Forzatti, che aveva staccato il respiratore da cui la moglie traeva un’esistenza artificiale. Allora come oggi, il nostro diritto nazionale non ospitava una regola sull’eutanasia, né sul testamento biologico. Se è per questo, non vi si rintraccia neppure una regola sull’uso di droghe per fini religiosi; ma due settimane fa la Cassazione ha assolto un rasta sorpreso con un etto di marijuana in tasca. E ovviamente la politica non l’ha presa bene: «Qualcuno fermi i giudici», ha detto il capogruppo Pdl in Senato.
Ecco, dal Senato sta adesso per scoccare l’altolà. Un conflitto dinanzi alla Consulta è un po’come una sfida a duello, benché nella fattispecie l’arma prescelta sia del tutto impropria. In primo luogo la sentenza della Cassazione non è definitiva, e quindi non è idonea a innescare un conflitto tra poteri. In secondo luogo il Senato non detiene il monopolio della funzione legislativa, perché quest’ultima viene esercitata «collettivamente» da ambedue le Camere, a norma della Costituzione. In terzo luogo non si può certo trasformare la Consulta nell’ennesimo grado di giudizio, impugnando qualunque decisione su cui la maggioranza di turno sia discorde. Ma dopotutto queste sono tecnicalità, argomenti per gli addetti ai lavori.
La vera posta in gioco tocca il ruolo dei giudici nell’officina del diritto. Il centrodestra li vorrebbe nudi e proni, e almeno in questo è recidivo: durante la sua precedente esperienza di governo provò a castigare come illecito disciplinare ogni sentenza in contrasto con «la lettera e la volontà della legge». Magari non tutti i senatori ne saranno consapevoli, però oggi il loro voto rispolvera il Référé législatif, un istituto in auge nel secolo dei lumi. Perché a quell’epoca dinanzi a un’oscurità legislativa, oppure dinanzi a un vuoto del diritto, i giudici dovevano appellarsi direttamente al Parlamento, sospendendo la propria decisione.
Sennonché al giro di boa dei secolo, nel 1804, entrò in vigore il Code Napoléon, che introdusse l’obbligo di rendere giustizia in ogni caso sottoposto alla magistratura. Questo principio è ancora valido e rappresenta la prima forma di tutela peri cittadini. Tant’è che le preleggi al codice civile contemplano l’ipotesi in cui manchi una precisa regola del caso; ma stabiliscono che il caso sia comunque deciso sull’onda di regole analoghe o dei principi generali. Esattamente quanto ha poi fatto la Cassazione per i rasta o per Eluana, applicando rispettivamente il principio costituzionale della libertà di religione o quello di disporre della nostra stessa vita. No, non tocca al Senato la toga che hanno indosso i magistrati. Né del resto il Senato potrà mai far indossare ai magistrati una divisa da poliziotto, da esecutore inerte della legge. Ogni giudice è innanzitutto giudice d’un caso della vita, e nessun caso è uguale agli altri. Lasciamo perciò Eluana al proprio giudice, e così sia.