La vicenda dell’attore Stefano Dionisi riapra il dibattito sulla depenalizzazione delle droghe

Huffington Post
Marco Perduca

Il 10 maggio scorso l’attore Stefano Dionisi è stato arrestato a Roma con l’accusa di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. I carabinieri del rione Prati lo pedinavano da tempo e lo avevano già fermato il 7 maggio per “accertamenti”. Dopo il primo fermo c’è stata una perquisizione dell’abitazione e il rinvenimento di alcune piante di marijuana e diversi grammi della stessa “sostanza stupefacente” pronti per l’utilizzo. Dionisi è stato processato per direttissima e condannato a quattro mesi perché il giudice non ha creduto che la detenzione fosse per motivi personali.

Eppure, secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, sarebbe stato lo stesso attore ad aprire le porte del suo appartamento ai carabinieri consegnando spontaneamente 18 grammi di marijuana e inducendo i carabinieri a perquisire l’abitazione e fare la scoperta della piccola piantagione. Dionisi non avrebbe opposto resistenza all’arresto.

Da oltre un anno e mezzo è in corso un procedimento penale contro Rita Bernardini, già segretario di Radicali Italiani, perché assieme a Marco Pannella e Laura Arconti aveva distribuito pubblicamente, e previa autodenuncia alle forze dell’ordine, delle piante a un gruppo di malati che la chiedevano per fini terapeutici durante un congresso del suo partito. Una disobbedienza civile contro una legge ingiusta che, tra le altre cose, limita il pieno godimento del diritto alla salute degli italiani.

Nel giugno del 2012, la Bernardini aveva anche seminato della canapa durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati portando avanti la coltivazione di oltre 50 piantine sul terrazzo di casa propria e documentandone la crescita sulla sua pagina Facebook.

Malgrado le autodenunce, la pubblicità della protratta violazione di legge, il sequestro delle piante da parte della Procura di Roma e la re-iterazione del “reato”, Rita Bernardini siede in ufficio accanto al mio al Partito Radicale e quando gira per l’Italia non è pedinata dai carabinieri. Per una frazione di quanto coltivato dall’ex segretaria Radicale, Stefano Dionisi è finito 24 ore in una caserma dei carabinieri e adesso dovrà far i conti con una condanna a quattro mesi di reclusione!

Non ci interessa (almeno per oggi) il protagonismo di certi magistrati “anti-droga”, quel che va piuttosto denunciato è che l’amministrazione della giustizia in Italia è spesso alla mercede dell’interpretazione di un giudice. L’applicazione difforme di una normativa, e quella in materie di droghe si presta alle interpretazioni le più varie, è contraria alla legalità costituzione che prevede l’uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge.

Rita Bernardini, che ha “spacciato” una pianta per coltivata fini terapeutici, ma in violazione di una legge che non consente a nessun privato cittadino l’auto-produzione della cannabis, non è stata minimanente toccata dalla legge – né dalla notorità -, Stefano Dionisi, che tra le altre cose qualche anno fa aveva sospeso la propria carriera di attore per problemi psicologici, quindi magari voleva godere del potere curativo della cannabis, è invece stato rienuto un pericoloso spacciatore dopo il primo fermo!

La vicenda di Stefano Dionisi, a cui va tutta la solidarietà umana possibile (che per quanto mi riguarda, da antiproibizionista, gli arriverebbe anche se la coltivazione non fosse stata per uso personale), è l’ennesimo esempio di come, malgrado la Corte Costituzionale nel 2014 abbia cancellato le parti peggiori della legge italiana sulle droghe, meglio nota come Fini-Giovanardi, in Italia viga oggi una normativa frutto dell’approccio proibizionista e punizionista tipico dei primi anni Novanta.

Una legge che in prima battuta continua ad affidare al diritto penale il governo di un fenomeno che accompagna la quotidianità di milioni di persone senza crear loro alcun problema di salute e con minimi impatti reali sull’ordine pubblico.

Qualunque fosse il motivo per cui Stefano Dionisi avesse a casa la cannabis, e indipendentemente dal numero di piante che stesse coltivando, occorre che la triste notorietà di questo ennesimo attacco a scelte individuali che non hanno ripercussioni su altri riapra il dibattito sulla necessità di depenalizzare totalmente la coltivazione e la detenzione personale di qualsiasi sostanza anche al fine di recuperare una riflessione, interrotta purtroppo anni fa, sul concetto di riduzione dei “rischi” e dei “danni” derivanti dalle sostanze e, ancor di più, dal proibizionsmo. Solidarietà quindi a Stefano Dionisi, con la speranza che trovi le energie per reagire psico-fisicamente all’arresto e alla condanna e voglia trasformar la sua vicenda personale in attività politica. Siamo qui (anche) con e per lui.

In attesa che il Parlamento riprenda l’iter per la legalizzazione della produzione, consumo e commercio della cannabis, i cittadini possono manifestare la loro contrarietà al proibizionismo firmando la legge d’iniziativa popolare lanciata dall’Associazione Luca Coscioni e Radicali Italiani e sostenuta da decine di associazioni. Qui tutte le informazioni.