La preghiera laica di Umberto Veronesi: “Dobbiamo essere liberi di decidere come morire”

La Repubblica
Antonio Di Giacomo

Morire è indispensabile. È quasi un dovere lasciare posto agli altri». Sono parole che disarmano, in ragione della loro ineluttabile lucidità, quelle pronunciate dall’oncologo Umberto Veronesi. Ieri mattina sul palcoscenico del teatro Petruzzelli di Bari, durante la conversazione “L’infinito della scienza” con Dario Cresto-Dina, vicedirettore di Repubblica. «Tutti siamo destinati a morire e bisogna accettare la morte come un evento biologico inevitabile», dice Veronesi rivolto alla platea del teatro, gremito per la Repubblica delle idee: «La morte appartiene aun ordine biologico superiore, al di là della nostra volontà. Ed è bellissimo, perché si scompare per far posto alle nuove generazioni. Tutto si rigenera ed è in quest’ottica che va vista la morte. Con serenità». Non è soltanto la lectio magistralis di un medico che ha speso la vita per combattere il cancro, ma un’intensa e meditata testimonianza umana e intellettuale, quella consegnata da Umberto Veronesi. E se è della naturalezza della morte che si parla, Cresto-Dina interroga l’oncologo sulla labilità estrema, oggi, dei confini del fine vita. Fin dove ci si può spingere, allora? «Dipende dal pensiero religioso del medico e dunque — chiarisce Veronesi — dai limiti che possono scaturirne attraverso l’etica della sacralità della vita che indica come la vita stessa non ci appartenga. Dio concede e Dio toglie la vita, dice la religione. Mentre il laico non la pensa così e crede nell’autodeterminazione, nella possibilità di costruire la vita ma anche la morte». Un terreno sul quale gioca il suo ruolo la bioetica che, avverte Veronesi, «non è una categoria, bensì una teoria per la quale l’etica medica deve essere accondiscendente nei riguardi del disegno biologico. Se l’uomo è destinato a morire, la medicina non vi si deve opporre». Un punto di vista che non corrisponde, tuttavia, a una adesione incondizionata verso l’eutanasia, peraltro praticata, riferisce Veronesi, negli ospedali italiani in maniera clandestina. «Non ne sono un fanatico, ma ritengo che bisognerà dibatterne a lungo visto che è un nodo difficile da sciogliere. Sono piuttosto dell’opinione che, attraverso delle buone terapie palliative, un valido sostegno psicologico e un’adeguata attenzione al malato terminale si possa ridurre la domanda di essere soppressi. Non è soltanto un problema religioso: praticare un’iniezione per togliere la vita è difficile e doloroso per un medico cresciuto nella consapevolezza che bisogna salvarla la vita e non terminarla». Un campo minato, in assenza di un quadro normativo certo in ogni caso. «Al tempo stesso la nostra Costituzione — ricorda — ammette la possibilità di rifiutare un trattamento che non si vuole subire. E qui entra in gioco il testamento biologico: se qualcuno non vuole restare in futuro in un eventuale stato vegetativo permanente ha il diritto di scrivere e decidere di lasciarsi morire, senza vivere artificialmente. In Italia, purtroppo, non si è mai fatta una legge per regolamentarlo in maniera chiara: quand’ero senatore me ne feci promotore ma non se ne fece nulla». Ed è una scienza abitata da tensioni etiche quella che guida l’agnostico Umberto Veronesi, che ha alle spalle una ferrea educazione cattolica. «Quando fondai il primo comitato etico italiano— racconta— il nostro motto era molto semplice: tutto è concesso all’uso della scienza per l’uomo, tutto è negato nell’uso dell’uomo perla scienza. I valori di riferimento per la scienza sono ricerca della verità, universalismo e funzione civilizzatrice». E il dialogo con la fede, al centro della Repubblica delle idee? «Sono stato un grande ammiratore di papa Benedetto XVI e conservo nel cassetto il suo discorso di Rati-sbona che cerca proprio di ‘ unire la scienza con la fede. E in quel testo che più volte ripete come ogni azione compiuta dall’uomo senza l’aiuto della ragione non sia nel disegno di Dio. È stata un’affermazione che ha rallegrato il mondo della scienza». Resta sul campo, semmai, il dialogo complesso tra laicità e chiesa. «Il laicismo è una filosofia di vita— è l’applaudita sintesi di Veronesi — che rifiuta i valori assoluti. I laici, in effetti, sono stati contro il fascismo, contro il nazismo, contro il comunismo e il rapporto con la chiesa è difficile perché è un’istituzione che vive di valori perenni».