La morte degna tra diritto di scelta e rispetto della natura

Lucetta Scaraffia

libertà di sceglierePubblichiamo da Il Riformista un articolo di Lucetta Scaraffia in cui la stessa attacca gli interventi di Armando Massarenti e Gilberto Corbellini (co-Presidente dell’Associazione Luca Coscioni) pubblicati sul supplemento culturale del Sole 24 ore che pubblicheremo nelle prossime ore. 

Domenica, nel supplemento culturale del Sole 24 Ore, una pagina intera è stata dedicata al "morire con dignità". Come al solito, cioè come succede regolarmente su questa pagina, a differenza dal resto del giornale, senza dare alcuno spazio a chi pensa in altro modo, due articoli, di Gilberto Corbellini e di Armando Massarenti, a recensione di varie opere tutte a favore di una eutanasia "gentile", hanno esposto gli argomenti – ormai risaputi – a favore di una libertà di decidere il momento della propria morte.

Passando con disinvoltura sopra una serie di realtà evidenti, con lo scopo di affermare a ogni costo il proprio punto di vista come unico modo sensato e pietoso di affrontare queste situazioni. Secondo Corbellini, «l’agenda della bioetica cattolica» fa il grave errore di agganciare la vita umana alla biologia, in modo che «la presenza di un’attività biologica indifferenziata viene giudicata sufficiente per affermare che ci si trova di fronte a una persona umana». La Dichiarazione dei Diritti umani – che recita «ogni vita umana è indisponibile» – dovrebbe quindi fermarsi davanti alla fine della biografia consapevole di un essere umano, lasciando così indifeso un uomo proprio quando è più in pericolo, quando cioè non è in grado di difendersi. Se la vita umana avesse valore solo quando è vissuta con consapevolezza e autonomia, inoltre, si potrebbero creare molto facilmente gerarchie di valore fra gli esseri umani, naturalmente a favore di chi è più consapevole e più autonomo.

E solo una definizione di vita umana che parta dalla sua nuda esistenza biologica ad assicurare uguaglianza di trattamento a tutti: malati e sani, intelligenti e stupidi, donne e uomini, vecchi e giovani. Ma Corbellini preferisce ignorare questo principio, affermando addirittura che se egli fosse disabile si offenderebbe «profondamente» di essere equiparato a un malato in stato vegetativo persistente (come Eluana Englaro, per intenderci). Come si vede, la sua tendenza a fare graduatorie di esseri umani – e quindi anche a stabilire graduatorie all’interno dei disabili, e ancora di più fra questi ultimi e i "sani" – è molto netta e coerente, sempre in barba a ogni principio di uguaglianza.

Massarenti invece si occupa di filosofi favorevoli all`eutanasia, fra cui emergerebbe «un rispetto profondo per la persona umana», che deve essere lasciata libera di decidere quale è il «momento più saggio» per porre fine alla propria esistenza quando la scienza potrebbe invece prolungarla. Perché, così come la vita, anche la morte dovrebbe essere degna dell`uomo. E arriviamo qui al cuore del problema: quale sarebbe una morte degna? Sappiamo che ogni epoca si è fatta un’idea di dignità della morte, e la nostra idea di morte possibilmente indolore e scelta non ha niente a che vedere con l’idea di morte che ci si augurava nell’Europa prima del Settecento, e in molti luoghi fino a qualche decennio fa: una morte consapevole, che consentisse ai cattolici la confessione e l’estrema unzione e a tutti parole da lasciare come ultima volontà ai familiari.

Il concetto di morte dignitosa è quindi un concetto mutevole, sottoposto ai cambiamenti culturali, con ogni evidenza non passibile di essere promosso dal livello di desiderio a quello di diritto. Ma, in sostanza, dietro a questa mielosa ideologia della morte dignitosa – che sembra cancellare dolore, disfacimento del corpo e dipendenza, anche se questo evidentemente non è possibile assicurarlo a nessuno c’è l’intento di fare passare l’eutanasia come un diritto fra gli altri: l’essere umano che pensa ormai di controllare la natura non sopporta questa mancanza di controllo sulla morte. Oscurando così quello che è il vero problema: il rapporto con le tecnologie che possono prolungare inutilmente la vita umana. La nostra attenzione dovrebbe quindi essere spostata non sulla decisione individuale, ma sulla deontologia professionale che dovrebbe impedire ai medici e infermieri di applicare inutili macchinari per mantenere in vita malati ormai arrivati alla morte. Questo succede a causa di un’idea sbagliata, ma purtroppo diffusa, di scienza che considera la morte sempre come un suo scacco, e non come la fine naturale di tutti gli esseri umani.

Il problema, quindi, non è la libera scelta di una morte dignitosa da parte dell`individuo, ma un uso ragionevole e responsabile – non condizionato dal timore di procedimenti legali – della tecnologia da parte dei medici, gli unici a potere e dovere valutare le scelte da farsi. Un uso della tecnologia che sia accompagnato dal rispetto per ogni essere umano in qualsiasi condizione si trovi – malato o sano, consapevole o inconsapevole – quale è stato introdotto dal cristianesimo quasi venti secoli fa, entrando a far parte di un patrimonio condivisibile anche da parte di chi cristiano non è.