La grande maggioranza dei ginecologi si oppone all’aborto e lo boicotta.

L’obiezione di coscienza dei medici italiani tocca percentuali bulgare. Non solo, gli antiabortisti allargano la loro influenza fino a comprendere la pillola del giorno dopo, e si rifiutano di prescriverla perché, dicono, potrebbe provocare un aborto.

Lo sanno bene le donne che nei fine settimana si precipitano nottetempo al Pronto Soccorso elemosinando la ricetta che potrebbe salvarle da una gravidanza indesiderata.
L?obiezione di coscienza dei medici italiani tocca percentuali bulgare. Non solo, gli antiabortisti allargano la loro influenza fino a comprendere la pillola del giorno dopo, e si rifiutano di prescriverla perché, dicono, potrebbe provocare un aborto.

Lo sanno bene le donne che nei fine settimana si precipitano nottetempo al Pronto Soccorso elemosinando la ricetta che potrebbe salvarle da una gravidanza indesiderata. Se il dottore è obiettore, la risposta è un secco ?no?.

Lo ha verificato un gruppo di femministe di S. Lorenzo (Roma): con un blitz notturno hanno chiesto la pillola del giorno in nove ospedali romani. La stragrande maggioranza dei medici di guardia ha rivolto loro un mucchio di domande imbarazzanti per poi congedarle. Uno di loro ha detto: “Qui c’è il Vaticano, ci sono delle regole”.

Le regole sono altre: rifiutarsi di prescrivere la pillola del giorno dopo è reato di omissione poiché si tratta di un farmaco contraccettivo e non abortivo, vendibile nelle farmacie dietro presentazione della ricetta come fosse un normale antibiotico. E chi boicotta la pillola del giorno dopo commette un errore giuridico e scientifico.

Giuridico: i medici che si appellano alla 194, la legge sull’aborto del 1978 che consente l’obiezione di coscienza, non menziona la pillola del giorno dopo. Scientifico: la pastiglia (considerata un contraccettivo d’emergenza) non provoca l’aborto bensì impedisce la fecondazione, il viaggio dello sparmatozoo verso l’ovulo. Insomma, è come la pillola anticoncezionale.

“Lo dico sempre ai miei colleghi obiettori: dovreste essere voi a prescriverla la pillola del giorno dopo, perché così evitereste il dramma dell’aborto”, si scalda la ginecologa Mirella Parachini, in servizio al San Filippo Neri. Parachini è una mosca bianca, ha scelto di praticare interruzioni di gravidanza “perché c?è anche una coscienza laica che ti dice: l’aborto è un diritto e lo devi garantire”. Parachini sa di vivere nel deserto dei Tartari. Secondo l’ultimo rapporto sulla 194 presentato dal ministero della Salute, oltre il 60% dei ginecologi e ostetrici si dichiara obiettore di coscienza, con punte dell’ 84% in Basilicata, dell’80% in Veneto e del 77% nel Lazio.

Cifre che sollecitano una domanda: in Italia è garantito il diritto di interrompere la gravidanza? La 194 non impone un tetto di ginecologi obiettori, semplicemente predispone il trasferimento di personale da un ospedale all’altro per consentire che il servizio pubblico non venga interrotto.

La percentuale dei medici obiettori è salita negli ultimi dieci anni, il che farebbe supporre ad una più profonda coscienza religiosa. “Macché”, risponde il ginecologo Silvio Viale, pioniere della sperimentazione della Ru486, il farmaco abortivo, “semplicemente è più conveniente fare l’antiabortista: fai una vita tranquilla e magari fai più carriera perché ti puoi dedicare ad altre cose”.

Non è sempre così: succede anche che obiettore lo diventi un medico che all’inizio della carriera era disposto a praticare l’intervento. E non si tratta di una improvvisa conversione religiosa: raccontano che era troppo pesante dal punto di vista umano sostenere il peso di una scelta significativa, compiuta senza l’adeguata assistenza dei consultori (troppo pochi e mal funzionanti) e di bravi psicologi.

La donna incinta che pensa all’aborto è costretta a vedere nel suo medico un amico, un confessore a cui affidare lacrime, corpo e mente.
Gli altri, quei pochi che si prendono l’onere di interrompere gravidanze, sono costretti ad un superlavoro, migliaia di aborti l’anno con in più le occhiatacce dei colleghi credenti o comunque contrari alla 194.

Il risultato sfocia nel disservizio: la carenza di sale operatorie e deficit di personale medico e paramedico fanno sì che l’aborto sia diventato un intervento rischioso per le donne, costrette a liste di attesa lunghe e dolorose dal punto di vista psicologico. Per dare una cifra: il San Camillo di Roma faceva 2 mila interventi l’anno, oggi è a quota 3200. E così è nata la ribellione: i ginecologi romani e del Lazio hanno proclamato una obiezione di coscienza totale che il 7 luglio prossimo potrebbe entrare in vigore, causando così l’interruzione del servizio.

“Nell’ospedale dove lavoro siamo giunti ad un mese di attesa per l’intervento”, denuncia Parachini, una delle leader della piattaforma che il 26 giugno incontrerà l’assessore alla Sanità del Lazio Augusto Battaglia con un ventaglio di proposte: riduzione delle liste d’attesa, censimento degli ospedali che praticano l’interruzione di gravidanza, incentivi economici ai medici e l’introduzione della Ru486 già in sperimentazione a Torino, in Abruzzo e in Toscana. “Gli interventi abortivi costituiscono il 40% degli interventi ginecologici”, illustra Parachini, “eppure sono diventati la Cenerentola della nostra professione. La 194 è una buona legge, ma ha confinato l’aborto esclusivamente nelle strutture pubbliche”.

L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo dove è illegale fare questo tipo di intervento nelle strutture private. In Europa, come in Olanda o in Inghilterra, ci si può rivolgere alle cliniche che assicurano personale preparato e soprattutto non obiettore; poi lo Stato rimborsa il costo dell’operazione. “Siamo al paradosso: da noi abortire è gratis, mentre la pillola del giorno dopo o l’anticoncezionale a basso dosaggio le paghi perché non sono mutuabili. E’ questa la politica della prevenzione?”, continua Parachini.

La prevenzione, per il fronte trasversale dell’embrione, sono i volontari del Movimento per la Vita nei consultori: è la proposta di legge di iniziativa popolare che proprio Mpv ha portato alla Regione Veneto. Grazie all’ausilio della Margherita – e a qualche spaccatura interna del partito di Rutelli – la legge è passata in commissione Sanità, ed è pronta per il battesimo in consiglio regionale. Parachini milita nel Partito Radicale da anni, e i suoi occhi guardano all’Europa: “Basterebbe che si assumessero dei medici a contratto, magari dei ginecologi appena usciti dalla specializzazione, non obiettori, perché possano fare pratica con le interruzioni di gravidanza”. Una proposta che certamente farà discutere.

L’assessore Battaglia ha già annunciato di essere favorevole all’introduzione, nel Lazio, della Ru486. Per i medici della protesta la pillola abortiva consentirebbe alle donne un aborto più veloce e meno traumatico, alleggerendo così la lunga fila di richieste che negli ultimi anni comprende sempre più straniere: costituiscono il 4, 5% della popolazione ma una interruzione di gravidanza su quattro (26%) è sollecitata proprio da loro.

Le migranti soffrono più delle altre donne del disservizio cronico. Sono giovani, in un Paese straniero, e non possono contare su una rete di relazioni che le aiuti ad affrontare l?aborto, o la scelta di non abortire. Dall’introduzione della 194 a oggi il numero di aborti si è ridotto della metà, ma statisticamente vi ricorrono più ragazze e più donne provenienti da altri Paesi.
La pillola del giorno dopo non è una soluzione, certo, “ma cambierebbero le cose se la si potesse acquistare nelle farmacie senza ricetta, come un normale farmaco da banco”, sottolinea Parachini.

In fondo si tratta di aggirare l’ostacolo: se sono costretta a dipendere dal medico o dal farmacista (una categoria, anche questa, che conta molti obiettori di coscienza), eliminiamo medico e farmacista. Specialmente dopo che il Comitato Nazionale di Bioetica ha introdotto la clausola di coscienza, stretta parente dell’obiezione, secondo la quale un medico acquisisce il diritto di bandire il farmaco. La clausola di coscienza non è legge. L?Italia invece tarda a recepire la risoluzione del Parlamento europeo del 2000, che raccomandava agli Stati membri l?introduzione della contraccezione d?emergenza. D?altronde più contraccezione, meno aborti.

Uno studio scientifico sembra provarlo: nei Paesi in cui procurarsi la pillola del giorno dopo è semplice come trovare un?aspirina, le donne non vi hanno fatto più ricorso di quando, invece, dovevano prima passare dal medico per la prescrizione. E nemmeno le coppie hanno smesso di utilizzare altri contraccettivi “perché tanto c’è la pillola”. Le donne sanno che si tratta di un farmaco senza controindicazioni, ma d?emergenza. Non sono, insomma, delle infantili scriteriate.