La grande farsa degli OGM: importarli sì, coltivarli invece no – Bluff OGM: arrivano a tonnellate però è vietato coltivarli

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Il Fatto Quotidiano
Virginia Della Sala

In un campo del Friuli Venezia Giulia, in provincia di Pordenone, c’è una serra in cui sono germogliate 50 piantine. Alte circa dieci centimetri, sono tenute in due contenitori di plastica, innaffiate una volta al giorno. Le sezioni di terreno spoglio nascondono i semi non ancora germogliati. Tra qualche mese, quelle appena spuntate dovranno essere interrate nei campi.

“Si tratta di mais Mon 810, un tipo geneticamente modificato che nella sua struttura molecolare contiene una proteina nociva per gli insetti, ma innocua per l’uomo, che è prodotto e venduto dalla multinazionale di sementi americana Monsanto”. A spiegarlo al Fatto è l’imprenditore agricolo Giorgio Fidenato, che sostiene da anni la causa di questo tipo di coltivazioni.

“Sono costretto a coltivarlo di nascosto perché, nei primi giorni di febbraio, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso contro la sentenza del Tar del Lazio. Avevo impugnato il decreto che mi impediva di coltivare mais biotech nei miei campi. In Italia, infatti, queste coltivazioni sono vietate”.

Secondo il Consiglio di Stato, la decisione “rientra nell’ambito dei poteri di legislazione straordinaria del governo” e se di solito l’esecutivo fa fatica a stare dietro alle direttive europee, questa volta si è mosso in anticipo. A gennaio, infatti, i ministri della Salute, dell’Agricoltura e dell’Ambiente avevano firmato un decreto che bloccava la coltivazione del mais Mon 810, l’unico Ogm finora piantato in Italia, anticipando il recepimento di una direttiva europea (approvata il 23 gennaio) che sancisce il diritto degli Stati membri della Ue di proibire la coltivazione di Ogm sul proprio territorio. Per l’Italia, però, si tratta solo dell’estensione per 18 mesi di un divieto già stabilito tramite un decreto del 2013.

“Con l’utilizzo del mais Mon 810 – spiega Fidenato – la produttività dei miei campi aumentava anche del 15 per cento. Si parla di 15 quintali in più per ettaro, evitando di utilizzare pesticidi e insetticidi dannosi per l’uomo”.

In prima fila nei divieti, ma arricchiamo le multinazionali          

Il tema dell’uso di Organismi geneticamente modificati nella produzione alimentare è dibattuto sia sul piano scientifico che etico ed ecologico. Ma c’è anche l’aspetto economico.

“Il nostro Paese importa ogni anno 4 milioni di tonnellate di soia Ogm e alcune delle nostre eccellenze alimentari, come prosciutti o formaggi, vengono prodotte da animali nutriti con mangimi Ogm importati – spiega Elena Cattaneo, senatrice a vita, accademica e docente di Farmacologia all’Università di Milano –; l’Italia vieta di coltivare Ogm, ma non di importarli e consumarli, seppur indirettamente. Mi chiedo quindi che fine fanno i timori sui paventati rischi che, peraltro, non trovano riscontro in 15 anni di prove e pubblicazioni scientifiche”.

L’Europa importa 46 tipologie di Ogm, autorizzate e nessuno ha mai sollevato problemi. Anzi. Nei giorni scorsi la Commissione europea ha proposto di autorizzazione altri 19 tipi di Ogm. E intanto il governo italiano, che può vietare la coltivazione del grano Ogm sul territorio, non pensa di proibirne l’importazione.

“In questo modo si favorisce la dipendenza dalle multinazionali che continueranno a produrre e vendere indisturbati ai nostri agricoltori gli ibridi, non Ogm, di bassa qualità – fa notare la Cattaneo –. È come se, dovendo acquistare un’auto, invece di scegliere quella più innovativa e sicura si preferisse quella senza servo sterzo e senza freni Abs. Senza dimenticare che si limita la libertà di quegli imprenditori agricoli italiani che sulle loro terre vogliono seminare piante Ogm giudicate sicure per l’ambiente e la salute da tutte le autorità predisposte al controllo”.

Il governo, con il suo decreto, ha bloccato anche la possibilità di fare ricerche. “Tra scienza e politica continua a esserci distanza – conclude la Cattaneo –. La scienza ci dice che gli Ogm che importa l’Ue non sono dannosi, ma la politica in Italia ha stabilito comunque di vietarne la coltivazione e la semplice ricerca”.

Dove non arriva la giustizia: Fidenato e la battaglia del mais

L’iter legislativo che ha portato al decreto affonda le sue radici nei tre ettari di campo di Giorgio Fidenato. Nel 2004, il produttore si accorda con altri agricoltori per coltivare il mais Ogm, autorizzato in Ue dal 1998. Lo Stato, però, non gli concede i permessi perché mancano i piani di coesistenza regionali (tra colture tradizionali, biolo- giche e transgeniche). Per la Regione si tratterebbe invece di un problema dello Stato.

Gli agricoltori danno il via a una causa pilota che arriva al consiglio di Stato che, nel 2010, dà ragione al coltivatore. Fidenato acquista i semi e li pianta per la prima volta: arrivano proteste dagli ambientalisti, da Greenpeace e da Legambiente. La procura gli sequestra il terreno per effettuare analisi, Fidenato semina altrove.

Dopo il dissequestro, nel 2011, risemina i campi provocando il sequestro di tutta l’azienda agricola. Sarà assolto nel 2013: secondo la Corte di giustizia europea, le colture avallate da Bruxelles, come il Mon 810, non possono essere vietate da uno Stato membro. Il 12 luglio 2013, allora, i ministri della Salute, delle Politiche agricole e dell’Ambiente corrono ai ripari firmando un decreto che vieta la coltivazione di questa varietà in Italia per 18 mesi.

“Con il decreto che abbiamo firmato oggi – di chiarò il ministro Nunzia De Girolamo – vietiamo la sola coltivazione del mais Mon 810 in Italia, colmando un vuoto normativo. È un provvedimento che tutela la nostra specificità, che salvaguarda l’Italia dall’omologazione”.

La legge non basta a fermare Fidenato. Nell’estate 2013 coltiva di nuovo, impunemente, il Mon 810, anche perché il decreto non prevede sanzioni per i trasgressori. Il problema è risolto a giugno 2014, con un’altro decreto: chi semina e coltiva Ogm in campo aperto rischia da sei mesi a tre anni di detenzione e una multa fino a trentamila euro. Inoltre deve rimuovere a proprie spese le coltivazioni illegali e risarcire eventuali danni per la contaminazione dei campi limitrofi.

Il Mon 810 danneggerebbe, infatti, l’agricoltura biologica. Oggi Fidenato, nonostante il nuovo decreto, continua a coltivare simbolicamente il suo mais Biotech. “Sono un anarco-capitalista – spiega – La mia serra è segno di libertà. Vengano pure ad arrestarmi”.

La dipendenza è per i mangimi: spendiamo miliardi ogni anno

“Sugli Ogm è tutto volutamente confuso in Italia. E si discute solo sulla coltivazione di un unico Ogm, di cui nel 2015 scadrà il brevetto e che quindi si diffonderà esponenzialmente”. Roberto Defez, direttore del laboratorio di biotecnologie microbiche all’Istituto di bioscienze del Cnr di Napoli, ha spiegato le motivazioni della sua posizione nel libro “Il caso Ogm – Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati” (Carocci Editore).

“L’Italia – spiega al Fatto – è obbligata a importare Ogm dall’estero perché non è autosufficiente né nella produzione di soia né in quella di mais. Entrambi compongono i mangimi destinati agli allevamenti. Senza queste importazioni, crollerebbe tutto l’impianto zootecnico italiano. Cosa daremmo da mangiare al nostro bestiame?”.

Tra soia e mais, infatti, il valore di quanto importa l’Italia varia tra i 2,2 e i 2,7 miliardi di euro, “cifre di cui potremmo usufruire sul mercato interno”. “Il contrasto alla coltivazione è un chiaro artificio retorico per far apparire l’Italia come un paese ‘Ogm free’ – continua Defez – quando invece i mangimi di cui si nutrono i nostri allevamenti arrivano da paesi che fanno uso di Ogm. Il 70% del cotone è importato dall’estero e prodotto con semi Ogm. Anche quello con cui la Banca d’Italia realizza le sue banconote”.

L’esplosione a livello mondiale 181 milioni di ettari (+6 nel 2014)

Secondo i dati dell’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAAA), durante il 2014 nel mondo c’è stato un aumento di coltivazioni Ogm di 6 milioni di ettari. Quasi la totalità delle nuove coltivazioni riguardano soia, mais, colza e cotone. Si è così raggiunta una superficie totale di 181,5 milioni di ettari coltivati a Ogm (la metà del continente europeo) rispetto a una superficie mondiale coltivata complessiva di 1,7 miliardi di ettari.

I paesi leader sono gli Usa, con 73 milioni di ettari e il 40 per cento del totale, seguiti da Brasile, Argentina, India, Canada e Cina. E queste coltivazioni ridurrebbero del 37 per cento l’uso degli insetticidi, determinando un aumento medio delle produzioni del 22 per cento e una crescita del 68 per cento dei profitti per gli agricoltori.

Dai colossi stranieri fino a tavola, ma nessuno controlla

La fattura di un consorzio agrario del Friuli Venezia Giulia, che il Fatto ha potuto visionare, indica l’acquisto di 7,56 tonnellate di mangimi di soia geneticamente modificata per un’impresa agricola del posto. Si tratta di un acquisto pagato 4 mila euro. Alimenterà bovini e maiali che poi saranno macellati e venduti. E non c’è l’obbligo di indicare in etichetta se gli animali siano stati alimentati o meno con prodotti Ogm.

“Se il governo fosse coerente – chiosa Defez – bloccherebbe i quattro milioni di tonnellate d’importazione di soia geneticamente modificata. Ma sa bene che sarebbe la rovina per il Paese”.

In una lettera di risposta all’avvocato e coltivatore Vincenzo Cappellini di Rovigo, il direttore generale del Dipartimento delle politiche europee e internazionali dello sviluppo rurale, Giuseppe Cacopardi, nel 2013 confermava la dipendenza italiana dagli Ogm: “Per quanto riguarda il decreto (quello del 2013, ndr) – si legge – si sottolinea che il provvedimento non riguarda i numerosi eventi transgenici inseriti in diverse specie vegetali (soia, colza, cotone e barbabietola da zucchero) che sono autorizzati, a livello europeo, a essere immessi in commercio come alimenti e mangimi”.

La lettera è un’ammissione: “Difatti, qualsiasi intervento di limitazione nei confronti di tali prodotti, in particolare dei mangimi, comprometterebbe il funzionamento dell’intera filiera agro-alimentare dato che per garantire l’approvvigionamento sul territorio comunitario di queste materie prime sono indispensabili le importazioni anche da quei paesi terzi che impiegano colture geneticamente modificate nelle loro produzioni primarie”.

Da soli e senza Ogm, gli allevamenti italiani faticherebbero a sopravvivere.