La farmacia dei poveri – Davide sfida Golia il potere dei diritti conquista la scena

La Repubblica
Stefano Rodotà

Forse la sentenza della Corte suprema dell’India aprirà gli occhi ai molti che, non soltanto in Italia, continuano a considerare l’accento posto sui diritti fondamentali un retaggio del passato, il principio di dignità della persona una ambigua nebulosa, il riferimento ai beni comuni poco più d’una infatuazione ideologica. Davanti ai giudici indiani si è manifestato ancora una volta un conflitto che accompagna la modernità, e che un presago Alexis de Tocqueville aveva descritto qualche mese primadella pubblicazione del Manifesto dei comunisti. “Presto la lotta politica si svolgerà tra chi possiede e chi non possiede: il gran campo di battaglia sarà la proprietà».Ovviamente i termini di riferimento di quel conflitto, che a quel tempo aveva come oggetto la terra, sono assai cambiati, ma non la sua sostanza, che continua a vedere contrapposta la logica proprietaria a quelle non proprietarie. E il conflitto si è esteso all’ immateriale, alla conoscenza,ed è divenuto più radicale in un mondo nel quale si vuol vedere nel mercato l’unica, vera legge”naturale”, che può fare a meno del diritto e che annichilisce i diritti. Questa impostazione è stata rovesciata. Proprio dai diritti fondamentali bisogna prendere le mosse e le regole giuridiche sono lo strumento al quale è affidata la loro concreta realizzazione. I diritti fondamentali non sono più un’astrazione, ma la manifestazione nel mondo dei bisogni primari d’ogni persona. Non a caso parliamo di diritti di cittadinanza, dalla salute all’ istruzione e al lavoro, che devono accompagnare la persona in ogni momento e in ogni luogo in cui essa si trovi. Da dove sono partiti i giudici indiani? Dal diritto alla salute, divenuto davvero “il più fondamentale dei diritti fondamentali», dunque un diritto che non può essere sacrificato alle compatibilità economiche, ma diviene esso stesso misura e criterio perla legittimità della logica di mercato. In esso s’intrecciano eguaglianza e dignità. Quando la possibilità della cura, alla quale si lega lo stesso rimanere in vita della persona, dipende dalle risorse finanziarie che ciascuno è in grado di investire, ecco rinascere la cittadinanza «censitaria»: ho tanti diritti quanti ne posso comprare sul mercato. Si può accertare questa certificazione della diseguaglianza, soprattutto quando essa si converte nella negazione del diritto alla vita? La risposta negativa venuta dalla Corte suprema dell’India, legittimando la produzione di un farmaco a un prezzo enormemente inferiore a quello imposto dalla Novartis sulla base di una sua interpretazione dei diritti di brevetto, consente di rimuovere un ostacolo di fatto, il prezzo del farmaco, che impediva alle persone di accedere a quel che è necessario per la stessa sopravvivenza. Non ho adoperato a caso le parole”rimuovere” un ostacolo, che vengono dritte dall’articolo 3 della nostra Costituzione, che in tal modo conferma la sua lungimiranza e attualità. Un compito non a caso affidato alla Repubblica, anticipando cosl quello che, a livello internazionale, è stato via via definito come un obbligo degli Stati di mettere le persone in condizione di accedere ai farmaci necessari. La decisione indiana, tecnicamente, ha alcune peculiarità, ma deve essere considerata come parte di un movimento che da anni si è mosso proprio in questa direzione, sfidando la logica delle società farmaceutiche, e che ha avuto manifestazioni assai significative in un notissimo intervento della Corte suprema sudafricana, nelle diverse pratiche adottate dai governi brasiliano, argentino, colombiano. Una linea, dunque, elaborata nei paesi di quel che si continua a indicare come il “Sud del mondo”, ma che ormai non può più essere considerata come espressione di condizioni del tutto autoctone, non trasferibili in una più larga dimensione mondiale. In quell’area, che si distende dall’America latina fino all’india e alla Thailandia, è venuta progressivamente emergendo una elaborazione culturale e politica che ha diretto riferimento alla vita materiale, che può essere definita come “costituzionalismo dei bisogni” e che ormai è destinata ad incontrarsi con il classico costituzionalismo dei diritti occidentale. L’intervento della Corte suprema dell’india dà evidenza a questa nuova situazione e impone di riflettere su alcune sue caratteristiche. Di fronte al potere delle grandi imprese transnazionali, Big Pharma o Big Data che siano, si manifesta la nuova potenza dei diritti, che dà fondamento alla possibilità di esercitare controlli su poteri altrimenti ritenuti del tutto autoreferenziali, produttori esclusivi di diritto, affrancati da ogni responsabilità e controllo. Sono sempre più spesso le corti supreme dei diversi Stati a dare concretezza a questi controlli, sulla base di nuovi principi comuni, come la dignità della persona, e di specifiche leggi approvate grazie alla spinta di concrete lotte per i diritti (è il caso indiano). Non a caso si parla di una “global community of courts”, nella quale si riflette questo nuovo assetto dei poteri planetari. Ma un punto essenziale è costituito dal modo in cui si stabiliscono le relazioni tra i diritti e i beni necessari per renderli effettivi. La sequenza è ormai chiara, e ci porta verso la individuazione delle caratteristiche di quei beni, che non possono essere accessibili solo attraverso la logica del mercato. Questi sono i beni “comuni”, tra i quali emerge con nettezza sempre maggiore la conoscenza, che non può essere “recintata” per impedirne l’utilizzazione diffusa, come accade con le pretese di estendere senza confini il brevetto e il diritto d’autore.