La chiesa come agenzia etica

D di Repubblica
Umberto Galimberti

Ve ne sarete dimenticati anche quest`anno.  Oppure giusto un trafiletto, tanto per  non dare nell`occhio. E per non dire che  un manipolo di radicali laici non violenti  giovedì sarebbe stato lì, a celebrare una  data senza più importanza, il 20 settembre,  e a chiedere una vera indipendenza  dell`Italia dallo Stato Vaticano. A gridare  al vento che sì, paghino le tasse pure loro  sulle proprietà che hanno in Italia, soprattutto  in un tale momento di crisi economica;  ma che la smettano di entrare  nei nostri letti, nelle nostre unioni, nei  nostri affetti. Quanta acqua è passata  sotto i ponti di Roma, da quel fatidico  giorno in cui una breccia secolare fu  aperta nel muro della loro ingerente  anaffettività. In poco tempo è stata rimarginata,  quella breccia, quella ferita  terrena. E oggi è come se non fosse mai  esistita. A Porta Pia, soltanto una targa,  una freccia: per il Vaticano, girare a destra  e tornare indietro.  Paolo Izzo, Roma  paolo@paoloizzo.net   

 

La Chiesa ha rinunciato al potere temporale  nel senso del possesso dei territori,  ma non a quel potere temporale che  consiste nell`intervenire, a partire dai  suoi “principi non negoziabili”, su questioni  etiche, come la fecondazione eterologa,  l`aborto, il fine vita, il riconoscimento  delle coppie di fatto, i matrimoni  gay, la scuola privata e altre questioni  che ogni società civile, può tranquillamente  regolamentare da sé. Qualcosa di  analogo alle potenze coloniali che hanno    rinunciato al possesso dei territori, ma  non al condizionamento economico di  quelle nazioni che hanno guadagnato la  loro indipendenza.  In questo modo la Chiesa, come già avvertiva  Gianni Baget Bozzo nel suo libro  L`anticristo (Mondadori), rinuncia ad essere  una religione, per ridursi ad agenzia  etica, dimenticando il richiamo dí  Kiekegaard che in Timore e tremore sottolineava  con forza che lo stadio religioso  oltrepassa di gran lunga io stadio etico.  Non si spigherebbe altrimenti come  nell`Antico Testamento, Dio ordini ad  Abramo il sacrificio del figlio !sacco, e  tantomeno la risposta che Dio dà a  Giobbe che gli chiedeva dove mai fosse  la sua giustizia. La risposta di Dio non lascia  dubbi sull`inopportunità di una simile  domanda: «Dov`eri tu quando io  mettevo le basi alla terra? Dimmelo se  hai tanta scienza» (Giobbe, 38,4).  Dio, infatti, è al di là delle regole che governano  la morale che calcola debiti e  crediti, colpe e pene come prevede la  giustizia umana. E questo principio è ribadito  anche dal Nuovo Testamento dove  Dio è come il padre che accoglie festosamente  il figliol prodigo «perché  questo tuo fratello era morto ed è ritornato  in vita, era perduto e si è ritrovato»  (Luca, 15, 32); che dà, a chi è giunto  sul lavoro all`ultima ora, la stessa mercede  pattuita con chi ha lavorato l`intero  giorno: «così gli ultimi saranno i primi, e  i primi gli ultimi» (Matte), 25, 15-16);  che loda il fattore che pratica sconti sui  debiti a quanti li hanno contratti col suo    padrone (Luca, 16, 8); che va alla ricerca  della pecorella smarrita e, ritrovatala,  dice «Vi sarà in cielo una gioia maggiore  per un solo peccatore che si pente  che per novantanove giusti» (Luca, 15,  7); che ai grandi Sacerdoti del Tempio e  agli Anziani del popolo dice che: «I pubblicani  e le prostitute andranno innanzi  a voi nel regno dei cieli» (Matteo 21,  31); che analoga promessa annuncia  sulla croce al ladrone: «In verità ti dico:  oggi sarai in paradiso con me» (Luca,  23, 42).  L`imperscrutabilità del giudizio di Dio,  sul significato che ai suoi occhi assume  ogni “singola esistenza” non dovrebbe  tradursi in una legge morale “valida per  tutti”, con la conseguenza di impossessarsi  del principio del bene e del male,  che Dio aveva vietato ad Adamo ed Eva  di conoscere e che il serpente aveva  promesso di svelare.  Ne discende che per tornare ad essere  una religione che custodisce il mistero  di Dio, la Chiesa dovrebbe rinunciare a  legiferare in sede morale, lasciando all`umana  ragione il compito di formulare  una morale valida per tutti, credenti e  non credenti, i quali, per convivere nel  modo meno conflittuale possibile, hanno  bisogno di una norma da tutti condivisa,  che non la fede, ma come diceva Kant,  solo la ragione è in grado di formulare.  Solo allora potremo dire che la Chiesa  ha abbandonato il suo potere temporale,  per parlare del regno di Dio che, secondo  il Vangelo: «Non è di questo mondo»  (Giovanni, 18, 36).